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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2023, 1 – Gennaio-Marzo 2023

Prima pubblicazione online: Marzo 2023

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000112

Umanizzazione della medicina Humanization of medicine

di Cristian Righettini

Abstract:

ENGLISH

L’umanizzazione della medicina e delle cure propone pedagogicamente la persona-medico come un soggetto scientificamente preparato e moralmente orientato, virtuoso, formato: di là da stereotipi e misconoscimenti, umanizzare significa rappresentare l’identità del medico specialista tra competenza e accoglienza, ove l’una e l’altra debbono intersecarsi eticamente nel tempo della vita professionale, nei luoghi di lavoro e nell’interiorità delle persone, nel fondamento antropologico più profondo.

Parole chiave: Umanizzazione, Medicina, Cura, Formazione, Etica
ERC: SH4_12 Education: systems and institutions, teaching and learning

ITALIANO

The humanization of medicine and care pedagogically proposes the person-physician as a scientifically prepared and morally oriented, virtuous, trained subject: beyond stereotypes and misunderstandings, humanizing means representing the identity of the specialist physician between competence and acceptance, where the ‘one and the other must ethically intersect in the time of professional life, in the workplace and in the interiority of people, in the deepest anthropological foundation.

Keywords: Humanization, Medical science, Care, Education, Ethics
ERC: SH4_12 Education: systems and institutions, teaching and learning

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Uno sguardo introduttivo

Nelle pratiche sanitarie, come nelle sue teorizzazioni, il sapere medico si è interrogato, fin dall’antichità, su aspetti etico-morali, su ciò che è – o rappresenta – il bene per il malato, su ciò che deve essere considerato giusto o sbagliato nel contesto della salute, sulle questioni del dolore, della malattia e della morte. Senza pretese d’esaustività sulla storia della medicina, è bene indagare alcune questioni fondamentali che intercettano il lemma in parola, tra cura della persona e umanizzazione delle prassi cliniche.

Le ragioni dell’etica e della morale troppo spesso sono approcciate in maniera semplicistica, anziché essere accostate come contesti sapienziali complessi, utili per esaminare e delimitare il “campo epistemico” delle cosiddette “etiche applicate”, nonché per orientarsi nella riflessione e nell’azione formativa e di cura.

Le implicazioni morali della medicina e della cura sono sempre state presenti fin dall’antichità, attraverso temi – la malattia, la vita e la morte, il corpo sofferente, il benessere della persona, i doveri del medico, i diritti del paziente, solo per citarne alcuni – che mantengono una forza interrogativa cogente per qualsiasi professionista della salute. Si tratta di riflettere sui concetti dell’etica generale della medicina e sulla cosiddetta deontologia professionale, in un dialogo proficuo che metta in luce aspetti globali, ma anche peculiarità e specificità di un campo così delicato e meritevole di continua attenzione.

Umanizzazione della medicina, sollecitudine e testimonianza

Un’etica medica delle virtù in ambito sanitario responsabilizza il singolo soggetto agente, anziché porlo semplicemente di fronte a delle obbligazioni, verso un rapporto autentico e moralmente orientato al bene del paziente che si ha di fronte. La sollecitudine, con cui il professionista sanitario attesta la sua propensione e il suo impegno verso il ben-essere e la fiducia nella relazione con la persona-paziente, traccia una via praticabile e auspicabile per le professioni di cura, senza tralasciare gli aspetti strettamente clinici, le indicazioni normative, i dati empirici e gli aspetti scientifici. La testimonianza caratterizza le professioni di cura, coinvolge i lavoratori in uno sforzo d’essere credibili oltre che professionalmente inappuntabili, li stimola ad affrontare le sfide quotidiane per mostrare in modo autentico le possibilità dell’esistenza, le scelte orientate verso l’umanizzazione della medicina, la promozione di competenze e posture morali non solo funzionali, ma anche consapevoli e formative. Di fronte all’eventualità dello scacco e del fallimento, il medico e il professionista sanitario sono mossi dalla volontà di mantenere presente l’impegno assunto verso la persona-paziente, tra libertà e responsabilità, tra la rigidità della norma e la fiducia nella promessa.

Umanizzazione della medicina e cura

Cosa significa curare? Che tipo di umanizzazione appartiene alla cura del medico? Non solo le possibili risposte si sono modificate nel corso del tempo, ma hanno comportato una serie di trasformazioni sociali, culturali e linguistiche. Il filosofo U. Curi esplicita questo processo, quando afferma che «facendo riferimento al lessico britannico, il verbo che direttamente discende da – e che dunque corrisponde a – il binomio greco-latino therapeia-cura non è to cure, ma piuttosto to care. Chi si assume la cura in senso latino di un altro non necessariamente traduce questa sua attitudine, riassumibile nell’espressione I care, nelle pratiche concrete indicate col verbo to cure. Si può dire ‘I care’ senza necessariamente dire ‘I cure’, anche e soprattutto perché l’esercizio concreto insito nel to cure non dispensa affatto dal continuare a dire I care, come espressione di un’intima preoccupazione» (Curi 2017, 56). Curare e prendersi cura testimoniano una visione plurale interna allo stesso contesto sanitario, così come la complessa evoluzione che l’ha interessata nel corso del tempo. «Avvalendosi della lingua inglese si tratteggiano così dei cambi di approccio non solo semantici, passando da ‘to treat’, facendo riferimento al trattamento di una patologia, a una visione ‘to cure’ per curare l’individuo in tutti i suoi aspetti a ‘to care’ per definire il farsi carico e il prendersi cura dell’umano» (Zane 2021, 100). Il sentimento di premura e sollecitudine, se vissuto nella propria quotidianità lavorativa, connota la concezione di sé, la rappresentazione del ruolo che si ricopre, la propria vocazione teleologica, riconoscendo la validità della propria deontologia professionale, ma allo stesso tempo trascendendola con la propria coscienza morale.

Umanizzazione e corporeità

Umanizzare la medicina significa riconoscere la valenza del corpo come portatore non solo di patologie e di conseguenti trattamenti, ma anche foriero di sensazioni personali, emozioni soggettive, sentimenti originali, simboli e significati psicologici e culturali. Diversamente da una certa visione stereotipata, la scienza medica non deve ricondurre il corpo a mero “simulacro biologico”, come se fosse un dispositivo meccanico. Per quanto sia necessario a livello epistemologico studiare l’essere umano nelle sue istanze fisiche e anatomiche, dinamiche e fisiologiche, per essere curato nelle sue specifiche parti e interazioni, va considerato sempre un sistema vivente, un organismo cui attribuire valore, ontologico ed etico.

Umanizzare il corpo e le cure rivolte ad esso non significa dunque negarne i limiti e le debolezze, talvolta fin troppo evidenti in ambito ospedaliero, connesse alla fisicità biologica, ma riconoscerne la vitalità come corpo-soggetto, corpo-consapevole e protagonista, per quanto possibile, dei percorsi di cura. L’evidente derivazione lessicale di parole come “paziente” e “malato”, che rimandano necessariamente al “patire”, al “male” e alla sofferenza, istanze subite da un corpo umano, non deve però celare che, accanto a dinamiche passive di assistenza terapeutica, dovrebbero sempre sussistere processi partecipativi e propositivi tra persona-medico e persona-paziente, nei rispettivi ruoli e nelle autonome potenzialità d’azione.

Il riconoscimento della persona come corpo vivente, vissuto e soggettivamente inteso, pensante, senziente e volente, è la base dalla quale partire per qualsiasi discorso sull’umanizzazione della medicina, intrinsecamente connesso alla tradizione dell’epistemologia medica, del metodo scientifico e dell’Evidence Based Medicine.

Umanizzazione e comunicazione

Umanizzare la medicina significa anche, spesso, trovare “la parola giusta”, il modo “adeguato”, il termine che sia allo stesso tempo veritiero, comprensibile, la frase che possa essere esplicativa e accogliente allo stesso tempo. La salute oggi deve essere intesa in modo ampio, diffuso, globale e integrale, anche nelle sue componenti etiche e non strettamente tecniche. Così ha da cambiare anche la comunicazione in sanità, integrando l’idea di cura della persona e favorendo azioni concrete per un benessere più umanizzato. È compito condiviso, anche del medico, riconoscere l’unicità dell’incontro, l’originalità di ogni situazione interpersonale, la vivacità e “imprevedibilità” di ogni interazione comunicativa.

Si tratta di riconoscere la cura come un’istanza connessa alla relazione d’aiuto, poiché, partendo dal riconoscimento del valore e della dignità della persona, tende ad attivare nei soggetti protagonisti una serie di risorse intellettive, emotive e pratiche orientate relazionalmente al sostegno, alla crescita e al benessere, favorendo la ricerca di consapevolezza e responsabilità, autonomia, libertà e, per quanto paradossale possa sembrare in situazioni medico-ospedaliere, sollievo, felicità e riappacificazione. Se comunicare in medicina può essere paragonato a un’arte, a una sensibilità sempre personale, non va dimenticata la necessità di una preparazione e una formazione competente.

La prospettiva cristiana dell’umanizzazione della medicina: il paziente sofferente

«Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (Fratelli tutti, 2020, 32).

Se lo spirito di accoglienza e carità innerva tutta l’etica cristiana in maniera evidente, più complessa è la sua “traduzione” in ambito medico-sanitario, in un discorso che, come è già stato accennato, chiama in causa tanto la prospettiva del paziente quanto quella del medico.

Dalle parole ai comportamenti, passando per la testimonianza del dolore e la tacita richiesta di “salvezza”, il paziente esprime in primo luogo al medico aspettative reciprocamente intese. La persona-paziente, quando affronta la malattia, soprattutto in condizioni di gravità o comunque di ospedalizzazione, esperisce tutto il vasto insieme della sofferenza personale ed esistenziale, non riducibile al “settore” della malattia, poiché investe l’insieme delle istanze vitali più profonde e più proprie di ognuno. Il “Vangelo della sofferenza”, come viene definito da Giovanni Paolo II, possiede una paradossale forza nella fragilità dei pazienti, partecipi in modo misterioso – ma assai reale – delle sofferenze di Cristo stesso, che perciò possono condividerle con Lui e con la comunità cristiana stessa. «Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza» (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 1984, 30).

La prospettiva cristiana dell’umanizzazione della medicina: il medico accogliente

La prospettiva cristiana sulla cura auspica l’identità del medico tra competenza e accoglienza, ove sia l’una che l’altra debbono intersecarsi nel tempo della vita professionale, nei luoghi di lavoro e nell’interiorità delle persone, nel fondamento antropologico più profondo. Di fronte ai bisogni materiali e spirituali della persona-paziente, il medico deve saper rispondere, tra scienza e coscienza. «Coniugando umiltà, speranza e dedizione generosa con competenza e professionalità rigorose, il medico, l’infermiere e ogni altro operatore sanitario esercitano di fatto la misericordia, di cui sono chiamati a essere speciali testimoni verso chi soffre» (Forte 2017, 41). Nella pratica quotidiana, tangibile, così come nelle attività di ricerca scientifica, il professionista medico si prodiga per la persona che si ha di fronte e per la promozione della salute come obiettivo sociale. «In tale opera di ristoro verso i fratelli infermi si colloca il servizio degli operatori sanitari, medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ausiliari, volontari che con competenza agiscono facendo sentire la presenza di Cristo, che offre consolazione e si fa carico della persona malata curandone le ferite» (Messaggio per la XXVIII giornata mondiale del malato, 2020, 3). La fede e la speranza cristiana non sottraggono nulla all’impresa scientifica medica, anzi apportano un contributo di misericordia e consolazione, vicinanza, affetto e sostegno non solo dai propri cari e dalla famiglia del paziente, ma anche, per così dire, da un’accoglienza “esperta” dei professionisti sanitari. «Tutti abbiamo bisogno di consolazione perché nessuno è immune dalla sofferenza, dal dolore e dall’incomprensione» (Francesco, Misericordia et misera, 2016, 13).

Umanizzazione la medicina: in ascolto delle famiglie e della comunità

Attivare reti di condivisione, collaborazione e partnership è comprensibilmente un’istanza chiave dell’umanizzazione della medicina e delle cure. Diversamente da una visione stereotipata, la missione meritoria della medicina è tutt’altro che un’impresa solipsistica e chiusa nella diade strettamente terapeutica medico-paziente, per quanto fondamentale. Porre le basi di una sinergia virtuosa significa porsi in ascolto autentico di tutti gli stakeholders per generare buone pratiche di aiuto reciproco, cooperazione, sostegno, sollievo. Si tratta di valorizzare i legami – affettivi e professionali – che si formano e si trasformano nei contesti sanitari, diversificati e dinamici, espressione di sentimenti forti, emblematici delle situazioni di malattia e sofferenza, ma anche forieri di accoglienza delle persone, dei loro vissuti, dei loro bisogni e della loro ontologica dignità relazionale. Diffondere pratiche di umanizzazione delle cure significa coltivare una formazione generalizzata a beneficio delle diverse figure professionali in ambito ospedaliero, dai medici agli infermieri agli operatori socio-sanitari, per garantire uno standard elevato nella presa in carico della persona-paziente; e tuttavia non possono essere dimenticati i tecnici, il personale amministrativo, i volontari nella preziosa opera di accompagnamento e aiuto. Anche i territori debbono essere coinvolti nei processi di umanizzazione, dalle amministrazioni locali, come ad esempio nel caso della “Rete delle Città del Sollievo” della Fondazione Ghirotti, per fornire ai pazienti cronici e terminali il miglior aiuto possibile in termini di sollievo dal dolore e accompagnamento verso il fine vita, a forme di associazionismo, gruppi di mutuo aiuto, progettualità educativa scolastica, solidarietà dei cittadini e delle famiglie.

Buone pratiche di umanizzazione della medicina per la persona-paziente

Nel panorama delle numerose iniziative di umanizzazione della medicina è utile tracciare alcune prospettive emblematiche che possono aiutare a comprendere come si possano “tradurre” le riflessioni in parola sull’idea di umanizzazione, etica della cura, formazione e accoglienza in azioni virtuose e utili per la salute e il benessere. La presenza di associazioni di volontariato che a vario titolo si prodigano gratuitamente nelle attività di assistenza ai malati o alle famiglie, di sostegno, di supporto pratico, di cultura, di svago e persino di gioco (si pensi ai pazienti pediatrici) è forse la prima direttrice di senso di cui tener conto. In secondo luogo, sono da segnalare tutte le iniziative di abbellimento e cura degli ambienti ospedaliero-sanitari, un modo concreto per rendere più gradevole la permanenza dei pazienti negli spazi di terapia e di degenza, migliorare la percezione dell’esperienza vissuta in termini di riduzione dell’ansia e dello stress. Ottimizzare gli aspetti comunicativi in sanità si esplica in iniziative di rilevazione della qualità percepita, fornendo agli utenti la possibilità di dare un feedback su accoglienza, competenza, puntualità e comfort, attraverso semplici strumenti tecnologici (“totem” a pulsantiera, questionari di gradimento, app su device mobili).

Buone pratiche di umanizzazione della medicina per la persona-medico

Vanno inserite nelle pratiche di umanizzazione le “Carte dei Servizi”, documenti che attestano un impegno condiviso e virtuose intenzionalità da sviluppare per una presa in carico globale e integrale della persona-paziente, preservando la qualità di vita e rispettando la dignità umana. Particolarmente importanti poi sono quei progetti afferenti alla cosiddetta “medicina narrativa” (Zannini, 2008): se per i pazienti si tratta di offrire uno spazio e un tempo di elaborazione del vissuto della malattia, testimonianza esistenziale ed elaborazione dei propri bisogni, anche spirituali, per il personale sanitario assume piuttosto la valenza di una formazione sulle proprie competenze relazionali e trasversali, empatiche e comunicative. Ne è un esempio il progetto “La relazione di cura tra domanda di salute e desiderio di salvezza. Tra riflessione educativa e narrazione per il medico in formazione specialistica”, promosso dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma (Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS), su indicazione dell’Assistente Ecclesiastico Generale S.E. C. Giuliodori, che propone un percorso formativo per i medici in formazione specialistica, a partire da uno spunto narrativo. I medici sono invitati a riflettere su alcuni episodi significativi nella loro pratica professionale, in cui sono state attivate capacità di ascolto, di comunicazione e di mediazione, soft skills oltre alle competenze tecnico-scientifiche, per mapparle e incrementarle per la costruzione di una professionalità esperta e integrale.

Prospettive di ricerca. Tra umanizzazione della medicina e formazione

L’umanizzazione della medicina non può non far riferimento ad un’etica amica della persona, poiché si tratta sempre di un’attitudine esistenziale delle persone coinvolte verso il miglioramento delle condizioni di vita, per sé e per gli altri. «Ne consegue che la capacità di prendersi cura deve essere considerata anche come una sorta di virtù alla stessa stregua della bontà, della giustizia: come ci sono individui giusti, buoni, coraggiosi, generosi e così via, così si può far entrare nel catalogo delle persone virtuose anche individui caring” (Adorno 2019, 58). Le virtù, anche quella della cura, come conoscenze, abilità e competenze, si possono apprendere, si possono trasmettere in via consapevolmente pedagogica, nella prospettiva dello sviluppo umano integrale. L’intenzionale impegno a favore dell’altro, soprattutto in condizione di fragilità, malattia e sofferenza, può essere letto da un punto di vista “educativo” come disponibilità e capacità di promettere un impegno per favorire «una vita buona, con e per l’altro in istituzioni giuste», una sollecitudine trasformatrice, una presenza amorevole e responsiva, la volontà di oltrepassare la condizione data di sofferenza per la promozione del benessere personale e integrale.

Medicina, umanizzazione, competenze

Prendersi cura implica imparare e insegnare l’umano verso l’acquisizione di abilità e competenze per imparare a vivere e decidere (Malavasi, 2020). Senza dimenticare le skills, le operatività tecniche e pratiche, psicologiche, comunicative e prossemiche, che certamente devono essere previste e apprese in qualsiasi percorso di formazione per professionisti sanitari, si potrebbe affermare metaforicamente che umanizzare la medicina significa imparare a “chiamare per nome” la persona-paziente che si ha di fronte, saper vedere il corpo-soggetto, oltre la malattia, e imparare ad ascoltare la storia, anche formativa, di cui ognuno è portatore e, allo stesso tempo, protagonista esistenziale.

La competenza riflessiva, in particolar modo, consente al medico di approfondire le relazioni di cura, considerare le variabili in gioco, soprattutto quelle umane, psicologiche e formative, le identità nel vivo delle evoluzioni educative, i ruoli e i processi trasformativi connessi. La conoscenza di sé e l’introspezione per la valorizzazione delle buone pratiche implica imparare a essere professionisti migliori, più preparati, più comprensivi e più formati a riconoscere l’umanità che ci appartiene.

Vedi anche le voci: Relazione di cura e responsabilità medica: implicazioni giuridiche e Il valore dell’assistenza e la centralità della persona nel processo di cura


Bibliografia
• Adorno F. P. (2019), Gli obblighi della cura. Problemi e prospettive delle etiche del care, Vita e Pensiero.
• Curi U. (2017), Le parole della cura. Medicina e filosofia, Raffaello Cortina Editore.
• Malavasi P. (2020), Insegnare l’umano, Vita e Pensiero.
• Righettini C. (2022), Formazione e umanizzazione della medicina e delle cure. Una riflessione pedagogica, Pensa MultiMedia.
• Zane E. (2021), Tra riflessione pedagogica e comunicazione per i servizi integrati alla persona-paziente. Il caso emblematico del Centro Radioterapico Gemelli ART, Pensa MultiMedia.


Autore
Cristian Righettini, Università Cattolica del Sacro Cuore (cristian.righettini@unicatt.it)