Engagement, tecnologia e innovazione

Alberto E. Tozzi1

1Ospedale Bambino Gesù, Roma.

Riassunto. Il percorso del paziente cronico e complesso è costellato di ostacoli che le tecnologie disponibili potrebbero aiutare a risolvere. Lo scarso ricorso alle innovazioni tecnologiche per la salute è un problema prima di tutto culturale. Esiste tuttavia l’obbligo di guidare le innovazioni attraverso l’analisi delle necessità e delle possibili soluzioni coinvolgendo direttamente il paziente e il medico in un modello partecipativo.

Engagement, technology, and innovation.

Summary. The journey of chronic and of complex patients is full of hurdles which the available technologies may help to overcome. The scarce application of technologic innovations is mainly a cultural problem. However, innovations should be guided by the analysis of clinical needs and of the potential solutions involving directly doctors and patients in a participatory model.

Che cosa succede nel percorso del paziente cronico e del paziente complesso? Se ci fermiamo a riflettere sui passaggi che i pazienti debbono compiere per raggiungere il traguardo di una diagnosi o dell’assegnazione di una terapia o di un follow-up, ci rendiamo conto che si tratta di passaggi non solo difficili da affrontare, ma qualche volta difficili anche da comprendere. Ci scontriamo continuamente con la rigidità di alcuni sistemi, e in particolare del nostro sistema sanitario che non è costruito per rendere la vita facile ai pazienti, ma qualche volta neanche ai medici, e che anzi in alcuni casi sembra fatto apposta per costruire delle barriere che riguardano soprattutto l’accessibilità ai servizi e alle prestazioni sanitarie.

La tecnologia, da questo punto di vista, può essere una leva potente. Eppure le tecnologie sono scarsamente integrate nei piani e nei percorsi di cura. Se da una parte siamo culturalmente ancora un po’ scettici, dall’altra ci si rende conto che invece le tecnologie possono essere davvero una porta di ingresso estremamente comoda e la pressione dei cittadini è difficile da sostenere. Questo vale soprattutto per chi soffre di patologie croniche.

Prendiamo a esempio la telemedicina. In questi ultimi mesi sembra essere diventata una delle ricette magiche per gestire la pandemia, ma le tecnologie di cui stiamo parlando sono disponibili da alcuni decenni1. L’impressione è che ci sia la tendenza a interpretare in modo molto riduttivo il significato di questo tipo di tecnologie. Purtroppo molte delle decisioni e delle strategie che vengono proposte si limitano infatti a fare un’equivalenza tra la visita in presenza e una vista da remoto, una “televisita”. In realtà, abbiamo un’enorme quantità di strumenti che la telemedicina e la medicina digitale mettono a disposizione e che aumentano di numero o di tipologie e di qualità giorno per giorno2. Se immaginiamo il percorso del paziente cronico e del paziente complesso, in questo momento abbiamo la possibilità di ripensarlo completamente, perché questi strumenti ce lo consentono. Per esempio, abbiamo la possibilità di cancellare completamente i limiti che riguardano il tempo e lo spazio, e compiere delle azioni che addirittura di persona non possono essere portate a termine, come misurare i parametri vitali per un tempo indefinito, semplicemente perché il paziente indossa un dispositivo; a tutto ciò non corrisponde però ancora una riflessione operativa sui modi per cambiare davvero il percorso del paziente e costruirne di più efficaci e di più efficienti3.

Nella figura 1 è riportata una immagine di un videogioco – Scratch – che insegna al bambino cosa è la programmazione elettronica in informatica. In sostanza, a ognuno dei tasselli sulla sinistra corrisponde un’azione del gatto sulla destra. Il gioco consiste nel consentire al bambino di comporre questi tasselli, che sono altrettante azioni, in un’animazione definita, che può essere il gatto che vola, oppure il gatto che cammina e così via. Se penso a una piattaforma di telemedicina (se così si può ancora chiamare), ne vorrei una in cui tutti gli strumenti tecnologici e anche quelli di cui posso disporre in persona siano in una libreria come quella dei tasselli di Scratch, che possano essere gestiti insieme dal medico e dal paziente per costruire un percorso che sia soddisfacente ed efficiente. Tecnicamente è una cosa affatto difficile e non particolarmente sfidante.

C’è un equivoco nel quale noi stessi cadiamo, che ci porta a confondere i metodi che vengono applicati alla ricerca scientifica con quelli che invece dovrebbero essere applicati all’innovazione. Perché ci interessa l’innovazione? Perché in sé questo processo ha uno scopo molto preciso: faccio un’innovazione se trovo una soluzione originale a un problema esistente e creo nuovo valore. La verità è che mentre spendiamo molte risorse, anche formative, nel campo della ricerca scientifica, facciamo molto poco per comprendere e per partecipare al processo che invece riguarda l’innovazione, soprattutto per quanto concerne la tecnologia, e sottolineo il fatto che la tecnologia non è l’unico modo per fare innovazione. È un problema che merita di essere discusso e possibilmente anche qui è necessario attuare un capovolgimento di logica.




Il processo dell’innovazione, riportato schematicamente nella figura 2, ha degli step molto specifici: si parte da una necessità che chiede di essere soddisfatta, si costruiscono prototipi di oggetti che soddisfano queste necessità e se ne verifica l’accettabilità da parte di chi deve usare questi strumenti. C’è poi la fase della validazione e infine c’è la possibilità di avere degli strumenti che possono essere distribuiti, che quindi possono andare sul mercato e possono essere messi a disposizione della comunità. Fin qui tutto bene, questa è un’interpretazione industriale classica. Quello che succede per la salute, purtroppo, è che la prima parte, cioè stabilire quali sono le necessità e quali sono le soluzioni possibili, viene spesso completamente trascurata e in ogni caso coinvolge solo occasionalmente il paziente e il medico. Una mancanza grave, perché se mi aspetto di sviluppare una soluzione, mi aspetto anche che questa venga diretta dall’inizio da una necessità estremamente ben definita e analizzata e da una serie di approfondimenti che riguardano le possibili soluzioni. Senza questo passaggio, è molto difficile che le innovazioni abbiano successo. Ed è uno dei motivi per cui alcune delle innovazioni per la salute, soprattutto tecnologiche, falliscono: semplicemente perché producono cose che non servono o non sono adatte a risolvere un problema esistente.

C’è quindi innanzi tutto bisogno di un luogo, di uno spazio in cui ricevere le istanze dei pazienti, per capire quali sono le necessità vere e approfondirle una per una. Inoltre bisogna provare, una volta raccolte le istanze dei pazienti in modo dinamico, ad assegnare loro una priorità in modo da gestire poi lo sviluppo del lavoro successivo. Infine andrebbe sfruttata la possibilità di fornire, durante questo ascolto attivo, un supporto formativo ai pazienti che sono spesso assetati di informazioni che riguardano cosa davvero si potrebbe fare con alcuni strumenti tecnologici, per supportare la loro partecipazione attiva (figura 3). Questi principi sono già contemplati dalla cosiddetta “citizen science”4, che sembra più popolare per le ricadute formative che per l’opportunità di favorire un modello di ricerca e innovazione partecipativo.







Con questo patrimonio potremmo quindi rivolgerci a chi lavora per la salute a livello industriale, alle start-up, agli esperti di processi, agli esperti di disegno dei servizi e così via, per cercare di far incontrare necessità e soluzioni. Attivare quindi un percorso di co-creazione, nel quale il paziente abbia la possibilità, con un supporto formativo adeguato, di sviluppare soluzioni originali per la ricerca, per l’innovazione tecnologica o per i processi. Questo approccio è diffusamente applicato in ambienti esterni a quello della salute e molto più raramente considerato nel campo della salute, dove l’atteggiamento verso il paziente continua a essere paternalistico. Da pediatra posso dire che un processo così condotto sarebbe oltretutto divertentissimo: immaginiamo la possibilità di coinvolgere direttamente un pubblico di questo genere nel processo di innovazione, non solo per la qualità della relazione con i bambini, ma anche perché la freschezza e l’originalità delle loro idee e il potenziale impatto sulla salute delle innovazioni da loro suggerite è un patrimonio che abbiamo appena toccato e che è tutto da scoprire.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. House AM, Roberts JM. Telemedicine in Canada. Can Med Assoc J 1977; 117: 386-8.

2. Santoro E. Information technology e digital health a supporto della salute ai tempi della CoViD-19. Recenti Prog Med 2020; 111: 393-7.

3. McCarthy S, O’Raghallaigh P, Woodworth S, Lim YY, Kenny LC, Adam F. Embedding the pillars of quality in health information technology solutions using “Integrated Patient Journey Mapping” (IPJM): case study. JMIR Hum Factors 2020; 7: e17416.

4. Dick DM. Rethinking the way we do research: the benefits of community-engaged, citizen science approaches and nontraditional collaborators. Alcohol Clin Exp Res 2017; 41: 1849-56.