Skip to content
BY 4.0 license Open Access Published by De Gruyter August 24, 2022

Valentina Casella / Maria Federica Petraccia, Two Exemplary Case Studies: the Cippus Abellanus and the Polcevera Tablet

  • Federico Battaglia

Reviewed Publication:

Casella Valentina / Petraccia Maria Federica, The Roman Senate as arbiter during the Second Century BC. Two Exemplary Case Studies: the Cippus Abellanus and the Polcevera Tablet. Brepols Turnhout 2019, 256  S., ISBN 978-2-503-58688-5


1. Letto a ritroso, il titolo dello studio di Valentina Casella e Maria Federica Petraccia tradisce la genesi del volume, illustrata con limpidezza nella “Preface” (11–12) al lavoro. In quest’ultima si dà conto, infatti, della partecipazione delle studiose al progetto di valorizzazione dei dati archeologici, noti e nuovi, relativi alla via Postumia e al suo tracciato[1]). Le indagini sul percorso dell’antica rotta appenninica, che univa Genova e Aquileia, hanno ricevuto un impulso decisivo da recenti (2013) ritrovamenti archeologici, motore del Progetto genovese. Al momento della scoperta, tuttavia, l’interesse per il tracciato era già vivo da tempo, anche alla luce della menzione della via Postumia nella cd. Tavola di Polcevera, epigrafe in bronzo rinvenuta nel 1506 nell’entroterra di Genova[2]). Nel documento, la rotta stradale è parametro geografico che, insieme ad altri, contribuisce alla definizione di una controversia territoriale: la tavola infatti riporta, in lingua latina, il resoconto delle decisioni con cui due magistrati romani – Quinto e Marco Minucio Rufo – mettono fine nel 117 a.C., su incarico del Senato, a una disputa sorta tra gli abitanti di Genova e i Viturii Langenses, popolazione ligure della Val Polcevera, circa il possesso e lo sfruttamento dei terreni di confine nell’immediato entroterra genovese. Proprio le modalità di intervento dei Romani nella vicenda richiamano l’attenzione delle studiose (cf. Preface 11)[3]) il cui interesse – oltre che alla via Postumia e alla sententia Minuciorum – si rivolge anche, per concatenazione, a un secondo caso di controversia di confine in territorio italico, coevo a quello ligure: la disputa tra Abella e Nola, testimoniata dal cd. cippus Abellanus, in lingua osca[4]). A partire dalle due controversie del II sec. a.C., il campo di indagine viene aperto al più ampio tema storiografico degli arbitrati pubblici romani in area italica, materia di indubbio fascino e per molti aspetti ancora poco esplorata.

2. Seguendo un percorso simmetrico e speculare rispetto alla sua genesi, il volume è strutturato per capitoli a focalizzazione progressiva, dal fenomeno arbitrale in genere al caso di partenza della via Postumia. A Valentina Casella è affidato il disegno complessivo delle tematiche di fondo: una ricognizione del fenomeno arbitrale nel mondo antico e, in particolare, a Roma (“§ 1. The Concept of ‘International’ Arbitration in the Roman World”, 29–60); la mappatura degli interventi romani di mediazione in controversie di confine in area italica nel II secolo a.C. (“§ 2. Urban Areas and Territorial Disputes across the Italic Peninsula”, 61–75); l’intreccio tra imposizione del sistema viario e interessi romani nella risoluzione delle dispute di confine (“§ 3. The impact of the Roman Road System on Border Disputes: Cisalpine Gaul”, 77–99), oltre alle “Conclusions” generali dello studio (189–196).

Sono ad opera di Maria Federica Petraccia (autrice anche della “Introduction”, 13–28), invece, la collocazione dei due ‚case studies’ sullo sfondo dell’arbitrato pubblico romano nella penisola italica (“§ 4. The Role of the Roman Senate and its Function as arbiter within Border Disputes in the Italic Territory”, 101–115) e la descrizione dei casi stessi, attestati come detto dal cippo di Avella (“§ 5. The Cippus Abellanus and the Dispute between Two Campanian Communities”, 117–131) e dalla Tavola di Polcevera (“§ 6. The Polcevera Tablet”, 133–168).

L’esposizione dei dati documentali relativi alla via Postumia (e al ‘Progetto’ omonimo) è infine affidata – coda da cui appunto si dipana, a ritroso, l’indagine – a una “Appendix” (169–188) curata da Antonella Traverso (Polo Museale della Liguria). Completano il volume un corredo iconografico, una corposa bibliografia (197–235), un indice delle fonti antiche (“Index of Classical Sources”, 237–243) e un indice dei luoghi e dei nomi (“Geographical and Prosopographical Index”, 245–256).

3. Il saggio si presenta come una mappa di percorsi possibili nell’impervio territorio di studio dell’arbitrato pubblico romano. La rotta di sintesi suggerita dalle AA. – il Senato, competente per la politica estera romana, utilizza in modo fluido lo strumentario altrettanto flessibile della mediazione, quale strumento di una ‘egemonia ragionata’, se non anche ragionevole, sul suolo italico – è persuasiva, essendo condivisibile lo sfondo di metodo che le AA. esplicitano al termine dello studio (189): “The aim of this study, professed from the very first lines, was to demonstrate that already in the ancient world, intermediation (individuals and entities participating in a relation) was primarily perceived as an ‘environment’ within which human actions took place, and secondarily as a legal institution.” Le fonti – pare di leggere – sono testimoni soprattutto delle poliedriche relazioni dell’essere umano con il territorio e con i propri simili (ciò che spiega la multiformità delle soluzioni politiche e giuridiche escogitate, anche in antiquo, per la gestione di tali rapporti) e solo secondariamente di sistemi intellettuali o razionali (il rigore dei quali giova, probabilmente, più all’interprete moderno che all’utente del diritto antico). Di qui, per le AA., tanto la difficoltà del tracciare linee rette nella ricostruzione dell’attività del Senato in funzione arbitrale – operazione che si lascia difficilmente inquadrare in schemi dogmatici netti –, quanto la possibilità di ripensare, con riferimento all’antichità classica, i confini intellettuali di ciò che la modernità conosce come ‘diritto internazionale’.

Seducente è anche il nesso – che corrisponde al baricentro genetico dello studio – tra l’intervento del Senato nelle controversie di confine (tradizionalmente legate alla sfera della politica estera romana) e un interesse interno di specie, come quello alla protezione della rete viaria sulla penisola italica in chiave difensiva e commerciale, nonché come strumento di penetrazione culturale, di cui le AA. trovano testimonianza nella Tavola di Polcevera (151): “The Tablet reveals Rome’s intent to define the western stretch of the Via Postumia, the important consular road that was a key instrument of Roman penetration providing access to the sea from the Po Plain. The legal consequences inevitably implied by this route put an end to the territorial disputes between the Genuates and the Ligurian tribes in the plains or immediate vicinity, since it marked the perimeter of the ager owned by the latter by means of cippi placed in a number of significant points.” Per contro, l’impianto sintetico del lavoro rende inevitabilmente angusto lo spazio riservato a ciascun livello di analisi dei temi invocati, lasciando aperto il campo per future ricerche di dettaglio sui singoli temi lambiti nel volume.

4. Tra questi, a parere di chi scrive, potrebbe svolgere un ruolo propedeutico lo studio delle modalità compositive e redazionali delle fonti che danno notizia delle contese e dei lodi arbitrali romani, per le possibili indicazioni che l’analisi dei testi è in grado di offrire non solo circa il contesto di produzione dei documenti e lo svolgimento delle singole procedure di mediazione, ma anche, più in generale, circa il modo di pensare e di esporre il diritto da parte dei Romani.

Suggerimenti preziosi in proposito sembrano venire in particolare, già prima facie, dalla Tavola di Polcevera. La sententia Minuciorum invoca infatti diverse modalità di sfruttamento economico del territorio ligure – terre incluse nel patrimonio o messe a reddito, (α) sfruttate a fini agricoli (colendi causa), (β) pastorali, o (γ) per la fienagione –, forse con attenzione alla qualità dell’impegno umano, in una serie decrescente per quantità di intervento più o meno stabilizzata nella coscienza collettiva: cf., p.e., Colum. re rust. 2,16,2: nomen quoque [scil. pratum] indiderunt ab eo, quod protinus esset ‘paratum’ nec magnum laborem desideraret.

A questo primo schema di variazione, sul piano socio-economico, se ne sovrappone un secondo, relativo alle tipologie di relazione giuridica con le terre coltive e silvane. Come è stato a più riprese messo in luce, anche nel volume di cui si dà conto (167), sono quattro i principali tipi giuridici coinvolti (iura in agro privato, publico, compascuo, sui prata dell’ager publicus), cui va forse aggiunta la possibilità, offerta al titolare di sfruttamento dell’ager publicus, di sublocare il podere a un colono. Anche sotto il profilo giuridico emerge una serie ordinata, dalla maggiore alla minore estensione – per intensità o durata nel tempo – delle facoltà di godimento e disposizione della terra: (a) alla situazione più tutelata (proprietà privata dei Viturii Langenses) fanno seguito: (b) il ius in agro publico (vectigali?) degli stessi Langenses, di matrice obbligatoria, che impegna i titolari al pagamento di un canone e li priva del potere di alienare la terra; (c) il diritto di colere ottenuto per sublocazione delle frazioni in agro publico (vectigali?) da parte degli stessi Langenses, ma anche di Genuates; (d) il diritto dei Langenses, dietro pagamento di un vectigal, di pascolare e raccogliere legna sull’ager compascuus di cui Genova è titolare; (e) il diritto di foraggio stagionale su prata dell’ager publicus, che spetta a varie tribù. Al centro della scena stanno, in ciascuna situazione, appunto i Langenses – l’epigrafe è stata rinvenuta, con ogni probabilità, nel loro territorio – che nella Tavola trovano così una mappa chiara dei propri diritti agricoli e silvo-pastorali.

Uno studio approfondito del catalogo delle facoltà economico-giuridiche che fa da trama al documento ligure, a confronto con le serie analoghe attestate nelle iscrizioni di contenuto simile, promette di affinare la nostra conoscenza delle forme adottate dai Romani per concettualizzare ed esprimere i diritti di sfruttamento del territorio fuori da Roma.

5. Anche la lingua con cui le facoltà concesse ai Langenses sono descritte appare, già a una prima lettura, meritevole di approfondimento. Il lessico della sententia Minuciorum, giuridicamente accurato, ricorda infatti in più luoghi il linguaggio tecnico del diritto e del processo privato romano. Così, mentre alla proprietà privata straniera si allude solo mediante una perifrasi ampia, costruita sulle facoltà concesse al titolare (lin. 5–6 qua ager privatus … quem agrum eos vendere heredemque || sequi licet …), la descrizione dei iura in agro publico (cf. lin. 24: … eum agrum castelanos Langenses Veiturios po[si]dere fruique videtur oportere) pare sfruttare nel complesso il lessico della tutela in personam dei diritti sulle cose, confermando probabilmente la natura obbligatoria del rapporto che lega i Langenses alle terre pubbliche romane o genovesi (come si sa, i giuristi posteriori, retrospettivamente, inquadreranno gli agri vectigales negli schemi della locazione). Intrigante è per esempio, in questo contesto, lo schema con cui è illustrato l’obbligo – salva la mora accipiendi del creditore stesso (quod per Genuenses mo[r]a non fiat quo setius eam pequniam acipiant) – di corrispondere interessi per mancato pagamento dei canoni locatizi, che apre ancora a un’indagine sulle ricorrenze linguistiche – clausole redazionali? – e i relativi schemi concettuali, nei documenti pubblici di età repubblicana. Il debitore può infatti adempiere con esattezza alla prestazione dovuta, oppure soddisfare per equivalente il creditore, a discrezione di quest’ultimo (lin. 25–26 [Pro eo agro vectigal Langenses | Veituris in poplicum Genuam dent.] Sei Langenses eam pequniam non dabunt neque satis || facient arbitratuu Genuatium …). La coppia solutio/satisfactio ricorre appunto come clausola intellettuale e di stile in ambiente epigrafico – cf. p.e. lex Rubria XXI neque id quod confessus erit solvet satisve faciet – ed è conservata nella letteratura giurisprudenziale; tra gli altri, cf. D. 13,7,9,3 Ulp. 28 ad ed. Omnis pecunia exsoluta esse debet aut eo nomine satisfactum esse; D. 20,1,13,4 Marcian. l. s. ad form. hypoth. … id est si soluta est pecunia aut satisfactum est …; D. 40,4,41,1 Pomp. 7 ex Plaut. … nisi praesentem eam pecuniam solvat aut satisfaciat …; D. 40,7,39,1 Iav. 4 ex post. Lab. Stichus liber esto, quando aes alienum meum solutum creditoribusve meis satisfactum erit 

Quanto alle facoltà legate all’uso dei compascua e dei prata, inoltre, può essere evidenziata l’affinità tra la lingua utilizzata nella sententia Minuciorum (lin. 32ss. quei | ager compascuos erit, in eo agro quo minus pecus [p]ascere Genuates Veituriosque liceat ita utei in cetero agro | Genuati compascuo, niquis prohibeto nive quis vim facito ; ll. 40ss. sei Langueses … in eo agro alia prata inmittere defendere sicare, id uti facere liceat, dum ne ampliorem | modum pratorum habeant quam proxuma aestate habuerunt fructique sunt) e i testi degli interdicta prohibitoria del processo privato romano, costruiti su analoghe formule di proibizione dell’uso della forza per impedire varie facoltà di sfruttamento delle terre (quo minus [utaris] vim fieri veto), con eventuale riferimento alla conservazione delle modalità con cui tale sfruttamento è avvenuto in un momento passato rispetto all’intervento cautelare (cf. int. de aqua aestiva, de rivis, ecc.).

Da un lato, lo studio della formularità latente in queste espressioni potrebbe ridurre la distanza, messa in luce a più riprese dalle AA. (in particolare, 42ss., 101ss.), tra gli arbitrati occidentali e quelli svolti in area grecofona, nelle cui formule si trova traccia del lessico processuale privato romano. Fin dagli studi ottocenteschi si è osservata infatti, nelle formule di giudizio imposte in molti casi dal Senato, una familiarità di massima con l’interdetto uti possidetis (cf. anche p. 46 del volume), e a volte la struttura della procedura seguita per l’arbitrato ricorda la doppia fase in iure/apud iudicem del processo privato[5]). Dall’altro lato, proprio la varietà delle formule linguistiche sembra riflettere quella delle possibilità di sfruttamento delle terre e del relativo strumentario di protezione giuridica, tanto in Oriente quanto in Occidente (un caso non dissimile da quello ligure, fuori dal territorio italico, emerge p.e. dalla cd. Tabula Contrebiensis, in cui si danno tracce di una tutela in rem del ius aquam ducendi). Troverebbe qui conferma la flessibilità dell’intervento del Senato nelle dispute territoriali esterne, alla luce, però – diversamente da quanto emerge nel volume – non (solo) della specificità della situazione politica della penisola italica, ma (anche) della capacità del diritto tout court di adattarsi alle situazioni concrete, tanto a Roma (dove il pretore ha giurisdizione sui privati), quanto in terra straniera e tra enti pubblici più o meno sovrani, rispetto alle cui vicende, dal punto di vista romano, la competenza giuridica spetta al Senato.

6. Lo spazio ridotto riservato alla trama giuridica dei testi dei case studies (perno del ricco lavoro di Casella e Petraccia) priva il saggio di una tessera di cui lo storico del diritto – per la naturale inclinazione a ritenere importante ciò che è caro – sente la mancanza, ma che non priva il volume di una sua preziosa omogeneità.

Ogni capitolo del volume, compresa la prefazione, è elegantemente preceduto da una citazione d’autore in epigrafe. Le “Conclusions” adottano, non senza ambizione, un frammento del proemio della Guerra del Peloponneso (Thuc. 1,21), in cui il metodo storiografico, fondato sui fatti, è difeso per differenza rispetto alle narrazioni d’invenzione. Lo studio degli arbitrati pubblici romani è davvero, tra i molti, un banco di prova impegnativo, nel quale l’aderenza ai dati epigrafici ed archeologici, come mostrano le AA., è via strategica (è il caso di dirlo) lungo cui costruire e difendere il verosimile storico.

Published Online: 2022-08-24
Published in Print: 2022-07-26

© 2022 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

This work is licensed under the Creative Commons Attribution 4.0 International License.

Downloaded on 22.5.2024 from https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/zrgr-2022-0018/html
Scroll to top button