La responsabilità medica: l’efficacia dei recenti interventi normativi e giurisprudenziali al fine di attenuare le responsabilità penali, civili ed erariali

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1/2022

La responsabilità medica: l’efficacia dei recenti interventi normativi e giurisprudenziali al fine di attenuare le responsabilità penali, civili ed erariali

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Il presente contributo si propone di delineare i cambiamenti nella percezione del rischio di responsabilità, da parte dell’operatore sanitario, mediante l’analisi critica dei più recenti interventi normativi ed orientamenti giurisprudenziali. Più in particolare, ed esaminando la struttura degli illeciti, le riflessioni hanno ad oggetto la responsabilità penale dei medici, le responsabilità civili dei medici e delle strutture sanitarie, le conseguenti responsabilità erariali.


Medical liability: the effectiveness of recent legislation and case law in mitigating criminal, civil and fiscal liability
This contribution aims to outline the changes in the perception of the risk of liability by the health workers through the critical analysis of the most recent regulatory interventions and jurisprudential guidelines. More specifically, and examining the structure of the offenses, the reflections concern the criminal liability of doctors, the civil liabilities of doctors and health facilities, the consequent fiscal liability.

1. Introduzione

Nel novero degli agenti pubblici – vale a dire dei soggetti legati alle pubbliche amministrazioni da un rapporto di impiego o di servizio – gli agenti che operano all’interno del settore sanitario (delle strutture pubbliche, e delle strutture private accreditate dal servizio sanitario nazionale) sono tradizionalmente tra i soggetti più esposti a rispondere delle proprie responsabilità.

A tale esposizione contribuisce certamente la complessità delle funzioni esercitate, il rapporto inscindibile tra la prestazione individuale e le modalità di organizzazione proprie della pubblica amministrazione di appartenenza, nonché la costante e progressiva attenzione – da parte dei pazienti, e del settore che offre loro la relativa consulenza-assistenza legale – al verificarsi di eventi lesivi del diritto alla salute ed all’integrità fisica dei pazienti[1].

Eventi lesivi che sono sempre più spesso all’origine di denunce penali, richieste di risarcimento monetarie (in sede penale e, o, civile) nei confronti dei singoli operatori sanitari e dell’amministrazione sanitaria di riferimento, infine di azioni disciplinari e di giudizi per danno erariale, innanzi alla competente giurisdizione contabile.

Che poi tali eventi lesivi, in sede di accertamento giudiziale, si risolvano sovente in decisioni assolutorie, od in sanzioni – personali e patrimoniali – di minimo importo e rilevanza, è questione che non attenua il rischio che gli operatori sanitari, indipendentemente dall’auspicato esito assolutorio, percepiscono di essere comunque assoggettati ad azioni di responsabilità aventi durata pluriennale, lesive della propria immagine e reputazione, oltre che fonte di ingenti esborsi economici a copertura delle spese legali[2].

La dimostrazione dell’elevata percezione di tale rischio – indipendentemente dalla concreta valutazione del rischio di essere effettivamente condannati in sede penale, civile, ed erariale – è data da almeno due fattori economico-patrimoniali: il primo incidente sulle finanze del singolo agente pubblico esercente le professioni sanitarie; il secondo incidente sulle finanze pubbliche.

Il primo fattore consiste nel valore del mercato delle assicurazioni, alimentato dalle polizze che gli operatori sanitari pubblici stipulano a copertura delle proprie responsabilità[3].

Il secondo fattore consiste nel fatto che – per porre in essere elementi di fatto e di diritto capaci di scriminare, in sede giudiziale, le relative responsabilità – i medesimi agenti pubblici ricorrono ad azioni e comportamenti iper-prudenziali (ad esempio prescrivendo accertamenti sanitari non strettamente necessari, ovvero ricorrendo a protocolli standard in grado di soddisfare la tutela del singolo operatore sanitario, rispetto alla appropriatezza delle cure mediche dovute al singolo paziente) che aggravano ed incrementano inutilmente le spese sanitarie statali e regionali[4].

Nel corso degli ultimi anni, e con l’intento di fare fronte a questi elementi critici, il legislatore statale è intervenuto più volte nella materia delle responsabilità poste a carico degli operatori sanitari pubblici: ciò anche al fine di modificare gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sulla legislazione previgente, ed orientare le relative magistrature (inquirenti e giudicanti) chiamate ad accertare in concreto la singola responsabilità.

Nel prosieguo dell’analisi, e ponendo sempre l’attenzione alla effettiva capacità – ascrivibile a ciascuno degli interventi normativi considerati – di lenire il rischio che gli operatori sanitari pubblici percepiscono in merito alle responsabilità delle proprie condotte, sono esaminate la responsabilità penale, la responsabilità civile e la responsabilità erariale.

2. La responsabilità penale: gli orientamenti giurisprudenziali rigoristi

Il tema dell’intervento penale nei confronti dei sanitari, per eventi lesivi o mortali occorsi nei confronti dei pazienti, costituisce da sempre una delle questioni più controverse in tema di colpa punibile.

In giurisprudenza, agli orientamenti dei primi anni successivi alla promulgazione del “Codice Rocco”, volti a creare un regime di particolare favore per la classe medica, mediante l’estensione dell’applicabilità dell’art. 2336 c.c. all’ambito penale, se ne contrapposero altri maggiormente rigoristi, sulla base del tramonto di una visione paternalistica del rapporto medico-paziente. Essi, in particolare, determinarono una notevole accentuazione dell’instaurarsi di processi penali, sovente definiti con sentenza di condanna a carico del personale sanitario.

Tali processi penali – il cui avvio già di per sé comporta per chi li subisce evidenti problemi personali, e costi economici per approntare la difesa – si concludono spesso con esiti di condanna, per innumerevoli ragioni. Queste ragioni sono state così individuate dalla dottrina:

1) la “disinvoltura” con la quale viene attribuita al sanitario la posizione di garanzia rispetto a tutti gli eventi lesivi astrattamente connessi alla prestazione professionale, o alla mancata esecuzione della medesima[5];

2) la valutazione, in sede di accertamento della colpa, della prevedibilità dell’evento non in concreto ma in astratto[6], secondo il modello dell’hindsight bias[7];

3) il trasferimento, in capo al medico operante, della responsabilità per disfunzioni organizzative proprie in realtà della struttura in cui opera[8], ovvero per eventi nascenti da colpe di altro soggetto, in virtù di un principio di affidamento che nella prassi giudiziaria fatica a trovare puntuale applicazione[9];

4) la presunzione, infine, della sussistenza del nesso tra colpa ed evento, sulla base della sola violazione di una norma cautelare[10].

L’accennato mutamento di prospettiva, nell’ascrizione della responsabilità penale a carico dei sanitari, appare determinante nell’insorgere della cosiddetta “medicina difensiva”.

Tale prassi, diventata nel corso del tempo ben nota sia alla comunità medica sia alla dottrina penalistica, si declina in comportamenti – posti in essere al fine di evitare i contenziosi legali – di tipo negativo e di tipo positivo. Quanto alle condotte negative, esse si riscontrano nei casi in cui i sanitari rifiutano pazienti, atti chirurgici o pratiche mediche, potenzialmente rischiosi da un punto di vista delle ricadute giudiziarie, con evidenti pregiudizi per soggetti bisognosi di cure in tempi celeri. Le condotte positive riconducibili alla nozione di medicina difensiva, invece, si estrinsecano principalmente nella prescrizione di esami diagnostici non necessari, con ricadute negative sia sui pazienti, i quali vengono sottoposti ad accertamenti più o meno invasivi in realtà superflui, sia sul sistema sanitario nazionale, che si trova a pagare costi enormi[11].

Quanto ai riflessi di natura economica, nel 2007 si è calcolata una spesa sostenuta, per esami non necessari indotti da pratiche di medicina difensiva, pari a circa il 15% della spesa sanitaria annua, ossia, in quell’anno, 15 miliardi di euro[12]. Nell’anno successivo, ad un incontro di studio specifico sul tema[13], l’allora Ministro della Salute Fazio stimò il costo di tali pratiche, in Italia, all’interno di un range oscillante tra i 12 ed i 20 miliardi di euro annui[14]. Cifre incredibilmente elevate, soprattutto in tempi, quali quelli odierni, connotati dalla ben nota crisi economica e dall’incidenza del debito pubblico sulle prospettive di sviluppo.

3. La responsabilità penale: gli interventi legislativi volti ad attenuare il regime della responsabilità, e le conseguenti interpretazioni giurisprudenziali (ancora rigoriste).

Per tentare di porre un argine a questo fenomeno, il legislatore è intervenuto, nell’ultimo decennio, con riforme tese a limitare la responsabilità penale dei sanitari solamente a comportamenti connotati da una certa gravità.

Sono quindi stati introdotti:

1) l’art. 3, comma 1, d.l. n. 158 del 2012 (cosiddetto “decreto Balduzzi”, dal nome dell’allora Ministro della Salute, convertito nella legge n. 189 del 2012), che, in presenza di determinati requisiti – quali l’adesione alle linee guida, od alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica – escludeva la responsabilità penale del sanitario nei casi di colpa lieve;

2) l’art. 6 della legge n. 24 del 2017 (cosiddetta legge “Gelli-Bianco”) che, nel riformare la norma del precedente d.l. n. 158 del 2012, ha introdotto nel codice penale l’art. 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, e disciplinante una esclusione di responsabilità dalle condotte di sola imperizia, per il sanitario il cui comportamento risulti aderente alle linee guida: a dispetto del suo tenore letterale, l’esegesi della nuova disposizione normativa – da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella cosiddetta “sentenza Mariotti”[15] – ha riconosciuto mantenere una rilevanza al grado della colpa;

3) da ultimo, l’art. 3-bis del d.l. n. 44 del 2021 (espressamente rubricato “Responsabilità penale per morte o lesioni in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19”, e convertito nella legge n. 76 del 2021), che ha limitato ai soli casi di “colpa grave” la responsabilità dei sanitari per i reati di omicidio e lesioni colposi, connessi allo stato di emergenza pandemica.

L’analisi delle pronunce della giurisprudenza di legittimità, sotto la vigenza del predetto “d.l. Balduzzi” e della “legge Gelli – Bianco”, pare offrire un quadro sconfortante circa l’effettiva capacità di limitazione dell’intervento penale nei confronti della classe sanitaria.

In particolare, se l’obiettivo della riforma era quello di arginare la “medicina difensiva”, sostanzialmente rassicurando i medici sul tramonto della sanzionabilità penale di determinati comportamenti, esso pare essere clamorosamente fallito[16]: le antitetiche prese di posizione della Corte di Cassazione sui punti centrali dell’applicabilità delle norme, la cui scaturigine risiede anche nella scarsa chiarezza dei testi legislativi sopra menzionati[17] (si pensi, solo per citare l’art. 3, d.l. n. 158, alle tematiche dell’applicazione della norma solo al medico aderente alle linee guida, od anche a quello che erra nel seguirle, oppure all’operare della disposizione per la sola imperizia o negligenza ed imprudenza, infine alla stessa nozione di colpa grave), hanno avuto l’effetto di acuire il disorientamento dell’interprete. In concreto, e nonostante la previsione normativa del “decreto Balduzzi”, se a un giurista si fosse presentato un medico, chiedendo un parere legale in ordine alle conseguenze penali di una propria condotta, questi sarebbe stato in seria difficoltà a risolvere il quesito.

Il responso è analogo con riferimento all’esame delle sentenze emesse dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, sotto la vigenza della “legge Gelli – Bianco”: si sono offerte interpretazioni antitetiche della legge, invero non risolte in maniera soddisfacente nemmeno dall’intervento delle Sezioni Unite, la cui esegesi dell’art. 590-sexies appare collidente con il tenore letterale della norma, così recando un sostanziale sfavore nei confronti del reo[18].

L’art. 3-bis, d. l. 44 del 2021, volto a limitare la responsabilità dei sanitari per eventi lesivi connessi alla pandemia, pare poter soffrire delle medesime problematiche, atteso che anche tale disposizione risulta orfana di una definizione espressa della nozione di “colpa grave”, ovverosia della nozione da cui dipende l’an della sanzione penale.

Se le summenzionate riforme legislative debbono essere salutate con favore, in quanto comunque dimostrative di una certa sensibilità per il tema dei limiti alla responsabilità penale del sanitario, tale sensibilità – per sfociare nell’adozione di decisioni giurisprudenziali effettivamente utili ad arginare il fenomeno della “medicina difensiva” – necessita di essere veicolata mediante le seguenti linee direttrici: l’adozione di norme rispettose del principio di precisione[19], che rendano chiara al sanitario la via da intraprendere; l’implementazione di una costante operazione “culturale”, di effettivo convincimento degli interpreti in ordine alla reale efficacia dell’intervento penale, nella materia di cui trattasi[20].

Dall’esame della giurisprudenza di legittimità, infatti, non pare potersi evincere una seria analisi e corretta comprensione dei drammatici problemi all’origine della “medicina difensiva”, e degli effetti negativi che la medesima genera sulla salute dei pazienti, da un lato, e sulle finanze pubbliche, dall’altro. Problemi che forse avrebbero suggerito un approccio meno superficiale ad un tema così complesso, una seria analisi sul ruolo del sanitario in rapporto ai profili di rilevanza costituzionale della sua attività, ed infine una piena valorizzazione delle possibilità esegetiche offerte dagli interventi normativi[21], nel senso di un effettivo temperamento della responsabilità sanitaria penale.

Come sottolineato da attenta dottrina, infatti, all’esito di questi anni di riforme e controriforme, attualmente «resta la consapevolezza, amara, che nell’attività sanitaria l’errore continua a essere fatale sia al paziente sia al medico. Con buona pace delle Sezioni unite»[22].

La correttezza di tale convinzione – in ordine alla sostanziale inefficacia degli interventi normativi di riforma che, in questi anni, si sono succeduti a temperare il contenzioso nei confronti della classe sanitaria – trova conferma nel dato allarmante per cui, ancora nel 2018, presso la Procura della Repubblica di Milano vi era, in media ed ogni giorno, l’apertura di un procedimento penale per colpa medica[23].

4. La responsabilità civile: l’assetto normativo precedente al d.l. n. 158 del 2012, con riguardo ai medici ed alle strutture sanitarie.

Prima della riforma introdotta con il predetto “decreto Balduzzi”, la responsabilità medica veniva classificata, con riferimento al professionista sanitario, come extracontrattuale, fatta eccezione per i casi in cui la natura del rapporto medico-paziente fosse tale da configurare un autonomo rapporto contrattuale, quale espressione del vincolo di fiducia nato tra di essi, precedentemente alla malpractice.

Una delle ipotesi rientranti nella suddetta eccezione era quella del rapporto instauratosi a seguito di visite ambulatoriali private, precedenti all’intervento chirurgico poi contestato: in queste fattispecie lo stesso professionista indicava al paziente l’intervento terapeutico da svolgersi, e che lui stesso avrebbe poi eseguito; tra il medico e il paziente si veniva quindi ad instaurare un rapporto che configurava un autonomo contratto di prestazione d’opera professionale, rapporto che trovava per l’appunto origine e fondamento nelle visite ambulatoriali private svolte in data antecedente e, o, posteriore alla malpractice oggetto della richiesta risarcitoria.

Per quanto riguarda invece la struttura sanitaria, la responsabilità veniva diversamente inquadrata come contrattuale (ex art. 1218 cod. civ.), e ciò in forza della conclusione di un “contratto atipico di spedalità” tra l’ente e il paziente, avente ad oggetto l’obbligo di eseguire prestazioni complesse, quali, ad esempio, prestazioni diagnostiche, terapeutiche, preventive, ospedaliere ed assistenziali[24]. In particolare, la giurisprudenza riteneva sussistere in tali casi un contratto d’opera professionale tra paziente ed ente ospedaliero, il cui perfezionamento era ricondotto al momento dell’accettazione del paziente nell’ospedale: alla formazione di questo rapporto il medico dipendente, organo dell’ente ospedaliero, non partecipava, ragion per cui alla sua responsabilità era attribuita natura extracontrattuale[25].

La responsabilità delle strutture sanitarie si differenziava inoltre a seconda che le strutture ospedaliere fossero pubbliche o private: per le prime, questa si fondava essenzialmente sulla prestazione medica imputabile al singolo operatore sanitario, in base ad un rapporto di immedesimazione organica; ciò, inoltre, avveniva nel caso di disfunzioni organizzative riconducibili alla struttura stessa e, per tale ragione, si applicava un unico regime di responsabilità, sia per il medico che per la struttura[26]. A riprova di ciò, l’orientamento giurisprudenziale al tempo maggioritario assumeva un atteggiamento di favore nei confronti degli enti pubblici, applicando anche nei loro confronti l’art. 2236 cod. civ. (Responsabilità del prestatore d’opera), nonostante tale norma fosse rivolta alla tutela, di per sé, soltanto del professionista prestatore di opera intellettuale: la disposizione normativa era così interpretata alla stregua di un criterio di attenuazione della responsabilità professionale[27].

Per le strutture private, diversamente, si affermava una responsabilità indipendente da quella del medico, in specie in virtù dei servizi offerti presso le stesse (quali vitto ed alloggio), servizi che apparivano assimilabili a quelli di tipo alberghiero[28].

Nel tempo, come si osserverà nel prosieguo del testo, si è tuttavia assistito ad un lento processo di equiparazione delle strutture private alle strutture pubbliche, ed il primo passo verso questa direzione è stato quello di affermare – anche nei confronti di queste ultime – una responsabilità della struttura autonoma rispetto a quella del medico (ad esempio innanzi all’accertamento di carenze di dotazione o strutturali)[29].

Il quadro sopra delineato ha subito un primo importante cambio di rotta con la sentenza n. 589 del 1999, della Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, n. 589 del 22 gennaio 1999): in tale occasione, i giudici di legittimità hanno affermato che la mera assenza di un contratto tra medico e paziente non può giustificare l’equiparazione del medico dipendente da una struttura ospedaliera ad un qualsiasi consociato, il quale è invece soggetto alle sole regole in materia di responsabilità extracontrattuale[30].

L’impostazione tradizionale volta ad ascrivere l’attività del medico all’interno della responsabilità extracontrattuale, riduceva infatti al momento terminale, ossia al danno, una vicenda che non cominciava affatto con esso (l’evento dannoso), bensì che si strutturava come “rapporto” in cui il paziente si affidava alle cure del medico, ed il medico accetta di prestargliele, così venendo a crearsi tra i due un “contatto sociale” di natura contrattuale.

Per tali ragioni la sentenza determina un sostanziale mutamento del paradigma tradizionale, a favore di un regime di responsabilità unitario di tipo contrattuale, sia per la struttura sanitaria che per il medico in essa operante, e grazie al quale discendono considerevoli vantaggi, per il danneggiato, in punto di: prescrizione, decennale anziché quinquennale; onere della prova, in base al quale il paziente ha soltanto l’obbligo di provare il contratto e il danno, spettando invece alla struttura ed al medico la dimostrazione della corretta esecuzione della prestazione.

Oltre a ciò, e con una ricostruzione innovativa rispetto ai precedenti orientamenti, i giudici di legittimità assimilano – ricorrendo alla teoria del cosiddetto “contatto sociale” – il medico dipendente da una struttura ospedaliera a quello libero professionista.

Alla luce di quanto sopradetto, si può concludere che prima della “riforma Balduzzi” l’inquadramento della responsabilità medica potesse dirsi pienamente soddisfacente solo se valutato nell’ottica della tutela del paziente, manifestando invece profonde asimmetrie per quanto riguardava soprattutto la posizione dell’esercente la professione sanitaria.

Da tali asimmetrie sono scaturiti i presupposti per la riforma legislativa Balduzzi, i quali possono essere così riassunti: il dato di fatto relativo ad un notevole aumento delle richieste risarcitorie nei confronti dell’operatore sanitario, viste le condizioni favorevoli poste dal nuovo inquadramento della responsabilità di quest’ultimo; l’adozione di strumenti di “medicina difensiva”[31] da parte dei medici, per contenere le richieste risarcitorie avanzate nei loro confronti, recando contestuale pregiudizio alla salute dei cittadini (sottoposti ad esami sovente inutili e non privi di rischi), ed un aumento sostanziale della spesa pubblica[32].

5. La responsabilità civile: le innovazioni intervenute mediante il d.l. n. 158 del 2012.

Il d.l. n. 158 del 2012 (il cosiddetto “decreto Balduzzi), poi convertito nella legge n. 189 del 2012, viene emanato nell’ambito delle azioni promosse dal Governo in un periodo caratterizzato da una importante crisi economica (con contestuale contrazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio Sanitario Nazionale), e rappresenta in tal senso una delle misure adottate al fine di contenere la spesa pubblica.

La ratio sottostante al testo normativo, focalizzando la nostra attenzione sull’operatore sanitario, può ritrovarsi nel tentativo del legislatore di arginare il predetto fenomeno della “medicina difensiva”, originato dalle numerose azioni di responsabilità nei confronti dei medici e delle strutture sanitarie. L’eccesso di responsabilità determinava infatti gravi ripercussioni sul bilancio pubblico, su cui gravavano in via prioritaria i costi e gli oneri del contenzioso sanitario, oltre a riflettersi negativamente sul concreto funzionamento del sistema sanitario, riducendone le risorse e l’efficienza[33].

Se nella sua iniziale formulazione la norma del decreto legge (art. 3)[34] interveniva sul solo versante civilistico, dando per scontato che la responsabilità dell’esercente fosse di tipo contrattuale, in sede di conversione quest’ultima configurazione viene sensibilmente modificata.

Sul versante penale, come si è osservato nei precedenti paragrafi, si introduce l’esonero della responsabilità penale per colpa lieve, nel caso in cui il medico abbia rispettato le linee guida e le best practices accreditate; mentre, per quanto riguarda la responsabilità civile, viene disposto il sussistere di questa anche nel caso di colpa lieve, con un generico e ambiguo riferimento alla responsabilità extracontrattuale: «resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 cod. civ.» (si legga il testo normativo esplicitato nella nota 34).

Da questa criptica formulazione della norma sono derivate ampie discussioni, in giurisprudenza e dottrina, circa la qualificazione della responsabilità dell’operatore sanitario come contrattuale o extracontrattuale. Tali contrasti hanno dato vita a due principali orientamenti giurisprudenziali, che si possono nella sostanza distinguere in base all’interpretazione data al riferimento all’art. 2043 cod. civ., così come presente all’interno del testo di cui all’art. 3 della “legge Balduzzi”.

Secondo un primo orientamento, avendo fatto il legislatore riferimento unicamente agli obblighi risarcitori, tanto la responsabilità del medico quanto quella della struttura sanitaria avrebbero dovuto essere entrambe ancora inquadrate nella categoria della responsabilità contrattuale: il rinvio all’art. 2043 cod. civ. doveva quindi essere inteso in senso atecnico, quale mero richiamo al principio del neminem laedere[35].

Seguendo questo percorso, la Corte di Cassazione[36] applicava l’onere della prova ex art. 1218 cod. civ. (richiamandosi ai principi giurisprudenziali già affermati nel 2008, con particolare riguardo ai cosiddetti “contratti di protezione”), affermando che spettava ai medici ed alla struttura sanitaria dimostrare la sussistenza di una complicanza non prevedibile e non prevenibile: a tal proposito, e sebbene anche nelle sentenze pronunciate successivamente alla “riforma Balduzzi” fosse presente un generico riferimento alla responsabilità aquiliana del medico[37], questo primo orientamento giurisprudenziale riteneva che, al di là di un ossequio formale, la norma di legge intendesse persistere nell’applicare, anche in tema di onere della prova, i principi già affermati in tema di responsabilità contrattuale[38].

Il secondo orientamento giurisprudenziale, diversamente, interpretava il riferimento all’art. 2043 c.c. come una scelta consapevole del legislatore. Da quest’assunto di partenza, si sono poi venute a creare due ulteriori linee interpretative: la prima, minoritaria, che inquadrava sia la responsabilità del medico che quella della struttura sanitaria nella responsabilità extracontrattuale; la seconda, maggioritaria, e che ha peraltro trovato conferma anche nella giurisprudenza successiva, volta a ricondurre la responsabilità del medico nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, e quella della struttura sanitaria all’interno della responsabilità contrattuale.

Si può dunque concludere che la “riforma Balduzzi”, interpretata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ha tentato, in netta discontinuità con il passato, di affermare un regime binario per la responsabilità che consegue ad un errore medico del professionista sanitario, ponendo per il medico l’accento sull’imputazione colposa della responsabilità, e più precisamente sulla “colpa circostanziata”, da valutarsi in relazione al caso concreto[39].

6. La responsabilità civile: la riforma contenuta nella legge n. 24 del 2017.

La legge n. 24 del 2017, anche detta “Legge Gelli-Bianco”, rappresenta, allo stato, l’approdo finale delle riforme legislative intervenute in tema di responsabilità medica.

Nonostante possano ravvisarsi in essa alcune delle scelte già operate con la “riforma Balduzzi”, la ratio alla base della legge n. 24 del 2017 è da considerarsi profondamente diversa rispetto ai precedenti interventi normativi, sino a qui considerati, soprattutto per ciò che concerne le modalità individuate per il raggiungimento dei medesimi obiettivi.

A tal proposito e nella prospettiva, ancora una volta, di ridurre il contenzioso giurisdizionale ed il ricorso alla “medicina difensiva”, il legislatore ha inteso innanzi tutto attribuire rilevanza alla gestione ed alla prevenzione del rischio sanitario, con l’intento di far gravare quest’ultimo sulla struttura più che sul singolo esercente l’attività sanitaria.

In secondo luogo, assume maggiore centralità l’inquadramento della responsabilità medica. Dalla previsione chiarificatrice dell’art. 7[40], si evince infatti la volontà del legislatore di confermare l’orientamento giurisprudenziale che aveva individuato – già dai tempi della “riforma Balduzzi” – un regime di responsabilità civile differenziato: affermando dunque la responsabilità extracontrattuale per l’esercente la professione sanitaria, e quella contrattuale per la struttura (sia pubblica che privata).

A ciò si aggiunge l’importante specificazione, contenuta nel comma 5 del medesimo art. 7, volta a qualificare tale disposizione normativa alla stregua di una norma dal carattere imperativo, al fine di rafforzare il fatto che il modello adottato dal legislatore non ammette deroghe, ed altresì allo scopo di evitare ulteriori contrasti giurisprudenziali e dottrinali.

Proprio in merito agli orientamenti giurisprudenziali conseguenti alla “riforma Gelli- Bianco”, la Suprema Corte di Cassazione ha introdotto importanti novità relative alla ripartizione dell’onere della prova: più in particolare, e nei giudizi contro l’esercente la professione sanitaria, spetta al paziente che agisce in giudizio dimostrare sia il danno subito, sia il nesso causale che lega questo alla condotta imputata al medico, sia la colpa o il dolo del sanitario[41].

In una fase successiva, la Corte di Cassazione ha tuttavia ritenuto di rivedere il proprio orientamento giurisprudenziale in relazione all’onere della prova del nesso causale, confermando quanto espresso nelle cosiddette «sentenze di San Martino”[42], al cui interno viene affermato che “nelle obbligazioni di diligenza professionale, la prestazione oggetto dell’obbligazione non è la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore»[43].

Delineata brevemente la cornice normativa e giurisprudenziale affermatasi con la legge n. 24 del 2017, preme sottolineare che sebbene il riaffermarsi di un regime di responsabilità differenziato possa sembrare un ritorno ad un modello già sperimentato in passato, e superato, è invece il quadro di riferimento complessivo della “legge Gelli-Bianco” a risultare profondamente mutato rispetto a quello previgente.

L’obiettivo della riforma è stato infatti quello di soddisfare le esigenze di tutela del paziente, senza rendere eccessivamente gravoso il regime di responsabilità del medico: e ciò al fine, da un lato, di superare le anomalie che un eccessivo aggravamento della posizione di quest’ultimo aveva determinato nonché, d’altro lato, di indirizzare le pretese risarcitorie nei confronti della struttura sanitaria, posto che quest’ultima è nelle condizioni migliori per prevenire e gestire il rischio sanitario[44].

Per concludere, non può non essere svolta una breve riflessione su quali effetti l’emergenza sanitaria, causata dalla diffusione del virus Covid-19, possa avere provocato sulla applicazione dei principi sanciti dalla “legge Gelli- Bianco”. L’equilibrio costruito attraverso le varie tappe normative sopra delineate rischia infatti di essere sottoposto ad una nuova ondata di procedimenti giurisdizionali, e richieste di risarcimento, a causa di una indiscriminata responsabilizzazione del personale medico-infermieristico, e della struttura sanitaria.

Se dal punto di vista del diritto penale tale rischio ha condotto il legislatore ad intervenire mediante le norme espressamente contenute nel d.l. n. 44 del 2021 (esaminate nel precedente par. 3), dal punto di vista civilistico si sta tentando di costruire un vero e proprio “sottosistema” della responsabilità civile per i danni cagionati dal medico, o dalla struttura sanitaria, in relazione all’infezione da Covid-19.

Tra le ipotesi sino ad ora esaminate in dottrina, tra le più significative vi è quella che vede l’applicazione del principio individuato dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. pen., n. 28187 del 2017: ivi, focalizzando l’attenzione sulla esimente prevista dall’art. 2236 cod. civ., si è espressamente ricondotto a tale disposizione normativa il punto di riferimento per l’applicazione di un principio di razionalità, nella valutazione dei molteplici e differenziati casi concreti. In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese più difficoltose dall’urgenza, implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione[45].

Sulla base di queste premesse, il contesto del tutto imprevedibile in cui i professionisti sanitari si ritrovano ad operare – in presenza di una emergenza pandemica – risulta idoneo ad integrare una di quelle particolari condizioni organizzative che potrebbero essere ricondotte nell’ambito di riferimento dell’art. 2236 cod. civ., e la cui applicazione, in concreto e nel singolo procedimento giurisdizionale, implicherebbe una responsabilità del personale sanitario limitata ai casi di colpa grave ovvero di dolo[46].

7. La responsabilità erariale: il regime ordinario.

Prima di analizzare e comprendere i più recenti interventi legislativi mediante i quali il legislatore ha inteso attenuare, nei medici e negli altri operatori sanitari, il timore della responsabilità erariale, è necessario tratteggiare brevemente il regime giuridico ordinario, e sostanziale, della medesima responsabilità[47].

Questa disamina consentirà altresì, sempre con riferimento alle professioni sanitarie, di verificare come si atteggia il rapporto tra la responsabilità erariale e le altre responsabilità (penali e civili) innanzi esaminate.

Sono assoggettati alla responsabilità erariale, innanzi alla giurisdizione della Corte dei Conti[48] gli agenti pubblici – vale a dire coloro che hanno instaurato, con una pubblica amministrazione, un rapporto di impiego o di servizio – che con le proprie condotte, dolose o gravemente colpose, hanno cagionato all’amministrazione di riferimento, o ad altra pubblica amministrazione, un danno suscettibile di quantificazione monetaria (il cosiddetto “danno erariale”)[49].

Con specifico riferimento alle professioni sanitarie – ed in ragione delle interpretazioni giurisprudenziali della nozione, progressivamente ampliate ad opera della giurisprudenza contabile e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – la nozione di “agenti pubblici” comprende ad oggi i medici di base, e tutti gli altri esercenti le professioni sanitarie che svolgono la propria attività lavorativa sia presso enti appartenenti al servizio sanitario nazionale, sia presso persone giuridiche private convenzionate con il medesimo servizio[50].

È ora possibile soffermaci sulla nozione di “danno erariale”, con specifico riferimento alla responsabilità medica[51]. Poiché si tratta, come sopra affermato, di un danno suscettibile di quantificazione monetaria, cagionato alla pubblica amministrazione di riferimento od altra pubblica amministrazione, queste sono le possibili configurazioni di danni erariali che gli esercenti le professioni sanitari possono causare:

a) un danno recato direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza, ad esempio mediante l’acquisto di apparecchiature medicali non necessarie od obsolete, oppure attraverso il loro cattivo uso ovvero, ed ancora esemplificando, attraverso il ricorso a iper-prescrizioni farmacologiche o diagnostiche (è, questo, il cosiddetto “danno erariale diretto”);

b) un danno recato ad un paziente, e per il quale quest’ultimo ha chiesto ed ottenuto il risarcimento monetario dall’ente sanitario presso cui il sanitario presta la propria attività lavorativa, danno e conseguente risarcimento per il quale l’ente sanitario deve rivalersi nei confronti del sanitario la cui condotta ha originato il medesimo danno e risarcimento (è, questo, il cosiddetto “danno erariale indiretto”: se, infatti, il paziente danneggiato chiede ed ottiene il risarcimento direttamente dall’esercente la professione sanitaria, rivolgendo la propria azione risarcitoria direttamente nei confronti di esso, allora nessun danno erariale potrà di regola gravare a carico delle finanze pubbliche, dal momento che il risarcimento grava sul patrimonio personale del medico/operatore sanitario giudicato responsabile, dal giudice ordinario, della condotta dannosa).

Sulla base di queste premesse, la responsabilità erariale degli esercenti le professioni sanitarie è stata oggetto di attenzione – già prima dei più recenti interventi legislativi in materia – da parte della giurisdizione contabile: questa attenzione ha riguardato tanto l’attività requirente delle Procure contabili[52], quanto le sentenze emanate dalle Sezioni Giurisdizionali Regionali (nel primo grado del giudizio erariale)[53], e dalle Sezioni Giurisdizionali Centrali di Appello (nel secondo e definitivo grado del processo contabile)[54].

8. La responsabilità erariale: i recenti interventi legislativi volti ad attenuare la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, e la sostanziale assenza di conseguenti orientamenti giurisprudenziali.

Con la finalità di attenuare il regime giuridico della responsabilità erariale, in anni recenti il legislatore ha posto in essere due rilevanti interventi normativi.

Il primo è un intervento legislativo che ha riguardato direttamente gli esercenti le professioni sanitarie e, più in particolare, il predetto “danno erariale indiretto”: all’interno della legge n. 24 del 2017 (già esaminata nei precedenti paragrafi, per ciò che concerne le nuove disposizioni normative da essa recate in materia di responsabilità medica, penale e civile), è infatti posta una norma – l’art. 9 (rubricato “Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa”)[55] – espressamente dedicata a disciplinare le “azioni” mediante le quali la struttura sanitaria pubblica, che ha già provveduto a risarcire il paziente danneggiato, può rivalersi sull’esercente la professione sanitaria che ha concretamente posto in essere la condotta dannosa.

Mediante l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “o”, l’art. 9 pone la alternatività tra le due azioni: di rivalsa (per così dire in senso stretto) della struttura sanitaria, nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, innanzi al giudice ordinario[56]; di rivalsa mediante la denuncia presentata dalla struttura sanitaria, alla Procura Regionale della Corte dei Conti territorialmente competente, in merito al fatto dannoso cagionato dall’esercente la professione sanitaria.

Ratione materiae, la responsabilità medico-erariale è configurabile soltanto in questa seconda fattispecie.

Fermo restando che «in nessun caso la transazione» – intercorsa tra la struttura sanitaria ed il paziente danneggiato – «è opponibile all’esercente la professione sanitaria» (art. 9, comma 4), nel caso in cui il giudice ordinario accolga la domanda di risarcimento, proposta dal paziente danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica (art. 9, commi 5 e 7)[57]:

a) la struttura sanitaria pubblica deve presentare “tempestiva denuncia” alla Procura Regionale della Corte dei Conti territorialmente competente (art. 52, comma 1, d.lgs. n. 174 del 2016), in essa recando «una precisa e documentata esposizione dei fatti e delle violazioni commesse, l’indicazione ed eventualmente la quantificazione del danno, nonché, ove possibile, l’individuazione dei presunti responsabili, l’indicazione delle loro generalità e del loro domicilio» (art. 53, d.lgs. n. 174 del 2016);

b) l’azione di responsabilità amministrativa, esercitata dal Procuratore Regionale nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, è limitata soltanto alle condotte poste in essere con dolo o colpa grave (ma, sull’odierno regime della colpevolezza, si rinvia alle considerazioni svolte nel prosieguo del testo);

c) il danno erariale posto a carico dell’esercente la professione sanitaria è quantificato tenendo conto delle «situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria (…) in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato» (comma 5, secondo periodo);

d) l’importo della condanna emanata dalle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti, a titolo di responsabilità erariale dell’esercente la professione sanitaria, in caso di colpa grave – escluse, dunque, le condotte dolose – e per singolo evento dannoso, non può comunque superare una somma monetaria pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti dal medesimo esercente la professione sanitaria nell’anno di inizio della condotta dannosa, oppure nell’anno a questa immediatamente precedente o successivo;

e) nel giudizio di responsabilità erariale, il giudice contabile può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio ordinario – instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica – soltanto se l’esercente la professione sanitaria è stato parte di tale giudizio.

L’analisi della disposizione normativa recata all’interno dell’art. 9, legge n. 24 del 2017, configura certamente un regime strutturale e costante (non temporaneo) della responsabilità erariale posta a carico degli agenti pubblici che esercitano professioni sanitarie: si tratta altresì di un regime chiaramente in grado di attenuare il timore della medesima responsabilità, sia per ciò che concerne il rapporto tra il giudizio contabile (per “danno erariale indiretto”) ed il giudizio ordinario (nel quale il paziente danneggiato ha ottenuto il risarcimento dalla struttura sanitaria pubblica), sia – ed ancora più utilmente, in punto di certezza della quantificazione della responsabilità erariale – per ciò che riguarda l’importo massimo della condanna al risarcimento del danno erariale, che la Corte dei Conti può porre a carico dell’esercente la professione sanitaria.

Più di recente, a questa disposizione normativa si è aggiunto un ulteriore intervento legislativo, che deve essere con essa attentamente coordinato: si tratta infatti di una norma che riguarda tutti gli agenti pubblici (ivi compresi gli esercenti le professioni sanitarie, presso le strutture sanitarie pubbliche), e di una norma che ad oggi, almeno per una sua parte, stabilisce un espresso limite temporale alla propria efficacia.

L’art. 21 (“Responsabilità erariale”), del d.l. n. 76 del 2020 – convertito nella legge n. 120 del 2020 – dispone infatti quanto segue[58]:

a) con riferimento ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (17 luglio 2020), e sino alla data del 30 giugno 2023, la responsabilità erariale degli agenti pubblici è assoggettata ad un “doppio regime”, in ragione della natura della condotta posta in essere dal soggetto agente (comma 2): se egli pone infatti in essere condotte attive (l’art. 21 non specifica tuttavia il significato della nozione), la propria responsabilità erariale è limitata soltanto alle condotte poste in essere con dolo (così scriminando, dalla medesima responsabilità, le condotte gravemente colpose); se egli pone invece in essere condotte omissive od inerti (nozione anch’essa assente, all’interno dell’art. 21), la propria responsabilità erariale continua a sussistere tanto per dolo, quanto per colpa grave;

b) per condotta dolosa (attiva od omissiva) si intende la condotta per la quale le Procure e le Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti siano in grado di dimostrare – in capo all’agente pubblico – la “volontà dell’evento dannoso” (comma 1): preme sottolineare che, a differenza della disposizione normativa che distingue le condotte attive dalle condotte omissive od inerti (ed il relativo grado di colpevolezza), questa nozione di condotta dolosa è strutturale, e non soggetta a limiti temporali di durata.

L’interpretazione – in combinato disposto – dell’art. 9, legge n. 24 del 2017, e dell’art. 21, d.l. n. 76 del 2020, è ad oggi in grado di configurare un regime normativo particolarmente favorevole, in tema di responsabilità erariale degli agenti pubblici che esercitano professioni sanitarie.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 21, d.l. n. 76 del 2020, la loro responsabilità erariale è infatti così configurata.

Se tali soggetti pongono in essere azioni, condotte attive (mediante provvedimenti o comportamenti), allora i danni erariali cagionati da queste stesse condotte possono essere risarcibili soltanto se ed in quanto la Corte dei Conti (in sede requirente e giudicante) è in grado di dimostrarne la natura dolosa: vale a dire la volontà, nell’esercente la professione sanitaria, di cagionare un danno (direttamente alla struttura sanitaria pubblica, ovvero nei confronti del paziente che dalla medesima struttura ha ottenuto il relativo risarcimento) suscettibile di quantificazione economico-monetaria.

Se, invece, tali soggetti pongono in essere condotte omissive od inerti (ancora in termini provvedimentali o comportamentali), il regime giuridico della loro responsabilità erariale rimane tuttora immutato: vale a dire che gli esercenti le professioni sanitarie continuano a rispondere dei danni suscettibili di quantificazione economico-monetaria – cagionati direttamente alle strutture sanitarie pubbliche, ovvero ai pazienti che da tali strutture hanno ottenuto il previo risarcimento – posti in essere tanto mediante condotte dolose, quanto mediante condotte gravemente colpose.

Su queste premesse, agisce di poi l’art. 9 della legge n. 24 del 2017, con queste ulteriori configurazioni.

In presenza di condotte attive che cagionano “danni erariali indiretti”, l’art. 21 del d.l. n. 76 del 2020 – sino alla data del 30 giugno 2023 – ha sostanzialmente “sterilizzato” l’applicazione dell’art. 9, comma 5, terzo periodo, della legge n. 24 del 2017 (il limite alla quantificazione del “danno erariale indiretto”, in caso di colpa grave), dal momento che:

a) innanzi all’accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal paziente danneggiato[59], presso il giudice ordinario e nei confronti della struttura sanitaria pubblica, l’esercente la professione sanitaria può infatti essere citato in giudizio dalle Procure contabili – presso la Corte dei Conti – soltanto dimostrandone la volontà dolosa;

b) dimostrato il dolo della condotta attiva, l’esercente la professione sanitaria deve essere condannato – dalle Sezioni Giurisdizionali della medesima Corte – a risarcire l’intero danno, contestualmente cagionato al paziente ed alla struttura sanitaria.

In presenza invece di condotte omissive, l’art. 21 del d.l. n. 76 del 2020, e l’art. 9, comma 5, terzo periodo, della legge n. 24 del 2017, così coesistono:

a) innanzi all’accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal paziente danneggiato, presso il giudice ordinario e nei confronti della struttura sanitaria pubblica, l’esercente la professione sanitaria potrà infatti essere citato in giudizio dalle Procure contabili – presso la Corte dei Conti – dimostrando tanto il dolo, quanto la colpa grave, della propria condotta;

b) dimostrato il dolo della condotta, l’esercente la professione sanitaria dovrà essere condannato – dalle Sezioni Giurisdizionali della medesima Corte – a risarcire l’intero danno cagionato al paziente, ed alla struttura sanitaria; dimostrata invece la colpa grave della condotta, e sempre in punto di quantificazione del danno erariale, l’esercente la professione sanitaria dovrà essere condannato a risarcire un danno di importo monetario non superiore a tre volte la propria retribuzione annuale lorda.

Questi recenti interventi legislativi non hanno ancora trovato applicazione, all’interno della giurisprudenza contabile: la ragione discende dal loro regime temporale.

Per ciò che concerne, infatti, l’art. 9 della legge n. 24 del 2017, la giurisprudenza della Corte dei Conti – ponendo l’accento sulla preminente “natura sostanziale”[60] – ne ha affermato l’applicazione agli “eventi lesivi” avvenuti soltanto successivamente alla entrata in vigore della medesima disposizione normativa[61]: considerando altresì che, come si è più volte osservato, l’azione di responsabilità erariale opera su “danni indiretti” – e dunque su danni che sono stati precedentemente accertati e quantificati, in via definitiva, innanzi al giudice ordinario – gli eventi lesivi (che sono le condotte dannose degli esercenti la professione sanitaria, e non le sentenze definitive del giudice ordinario), posti in essere dopo l’entrata in vigore della legge n. 24 del 2017, non sono ancora giunti all’attenzione del giudice contabile.

A maggior ragione per ciò che concerne l’applicazione giurisprudenziale dell’art. 21, d.l. n. 76 del 2020 che, come si è innanzi ricordato, trova applicazione ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge (17 luglio 2020), e sino alla data del 30 giugno 2023.

9. Considerazioni finali.

Le risposte alle domande poste in premessa, sulla effettiva capacità dei più recenti interventi legislativi – e della loro applicazione ed interpretazione giurisprudenziale – di attenuare il timore delle responsabilità penale, civile ed erariale, percepito dagli esercenti le professioni sanitarie, discendono direttamente dalle considerazioni sino a qui svolte.

In merito alla responsabilità penale si è infatti osservato che, pur a fronte di nuove disposizioni normative (in specie l’art. 590-sexies, cod. pen.) volte ad attenuare il timore di illeciti penali, gli orientamenti rigoristi della giurisprudenza ne hanno ampiamente limitato la portata innovativa, e l’efficacia lenitiva.

Al contrario, e per ciò che concerne la responsabilità civile – e la responsabilità erariale, quest’ultima considerata in particolare come strumento per agire in rivalsa, da parte delle strutture sanitarie pubbliche condannate a risarcire il danno cagionato dagli esercenti le professioni sanitarie – gli interventi normativi hanno certamente effetti positivi, sul timore delle medesime responsabilità.

Per la responsabilità civile, questa affermazione è motivata sopra tutto dall’intenzione legislativa (e dai conseguenti orientamenti giurisprudenziali) volta ad indirizzare direttamente l’azione del paziente danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica, e non (anche) nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie.

Per la responsabilità erariale, e ribadendo la sostanziale assenza – sino ad oggi, e ratione temporis – della conseguente giurisprudenza applicativa, il tenore letterale delle recenti disposizioni normative non lascia dubbio alcuno in merito alla volontà legislativa di recare un evidente favor per le condotte attive degli esercenti le professioni sanitarie (e, più in generale, per tutti gli agenti pubblici), anche se gravemente colpose.

  1. * I paragrafi 1 e 9 sono frutto della comune riflessione degli Autori. Per le restanti parti del contributo: i paragrafi 2 e 3 sono di P.F. Poli; i paragrafi 4, 5 e 6 sono di C. Padrin; i paragrafi 7 e 8 sono di G. Bottino.Sul tema, approfonditamente, F. Tigano, La responsabilità delle pubbliche amministrazioni tra scienza (diritto) e coscienza nell’ambito dei trattamenti sanitari, in Federalismi.it, 28 giugno 2017 e altresì, mediante una riflessione comparata, V. Grembi, Una riflessione tra economia e diritto sulla malpractice medica: i casi di Stati Uniti e Italia, in Merc. Conc. Reg., 2005, 3, pp. 455 ss.
  2. Sulla distinzione, negli agenti pubblici, tra rischio delle responsabilità pubbliche, percepito e reale: E. D’Alterio, Come le attività della Corte dei Conti incidono sulle pubbliche amministrazioni, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2019, 1, 39 e ss. (in specie par. 2.3, “lo «spettro» della responsabilità amministrativa”); G. Bottino, La burocrazia difensiva e le responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici, in Anal. Giur. Econ., 2020, 1, in specie 124 ss. Più ampiamente, sul tema del rischio e della sua gestione, nell’ordinamento giuridico-amministrativo italiano, A. Barone, Il diritto del rischio, Milano, 2006.
  3. Sul mercato delle assicurazioni aventi ad oggetto le responsabilità pubbliche, amplius, S. Battini, F. Decarolis, L’amministrazione si difende, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2019, 1, par. 3, e G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, p. 216 ss.
  4. Si tratta dell’atteggiamento tradizionalmente qualificato in termini di “medicina difensiva”: in tema, senza pretesa di esaustività, ed oltre alla bibliografia citata all’interno della successiva nota 11, S. Battini, F. Decarolis, L’amministrazione si difende, cit., par. 1; C. Granelli, La medicina difensiva in Italia, in Resp. Civ. Prev., 2016, 1, p. 22 ss.; Id., Il fenomeno della medicina difensiva e la legge di riforma della responsabilità sanitaria, ibidem, 2018, 2, p. 410 ss.; S. Villamena, La c.d. legge Gelli-Bianco. Fra strategia di prevenzione del rischio e responsabilità amministrative, in Federalismi.it, 2 gennaio 2019.
  5. Sul punto si veda, tra gli altri, L. Fornari, La posizione di garanzia del medico, in A. Belvedere, S. Riondato (a cura di), La responsabilità in medicina, in S. Rodotà, P. Zatti (diretto da), Trattato di biodiritto, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 839 ss.; A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale tra teoria e prassi giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 270 ss.
  6. Così A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale tra teoria e prassi giurisprudenziale, cit., pp. 159 ss.
  7. Con tale espressione, in pratica quello che noi intendiamo per “il senno di poi”, si intende l’incapacità di fare un salto nel passato e di non considerare lo sviluppo delle dinamiche materiali, una volta che se ne conosca l’evoluzione. Con il senno di poi, il giudizio postumo tende regolarmente ad esagerare quello che si sarebbe potuto prevedere, creando un vero e proprio pregiudizio, per il quale una volta che un evento si è verificato esso risulta essere evitabile. Sul punto si veda diffusamente G. Rotolo, Medicina difensiva e giurisprudenza in campo penale: un rapporto controverso, in Dir. pen. e proc., 2012, pp. 1263-1264, nonché F. Centonze, La normalità dei disastri tecnologici. Il problema del congedo dal diritto penale, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 35 ss. Riprende il tema di recente anche O. Di Giovine, In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non è possibile ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica), in Arch. Pen., 2014, p. 14.
  8. In particolare, sul tema: G. Forti, Nuove prospettive sull’imputazione “per colpa”: una ricognizione interdisciplinare, in M. Donini, R. Orlandi, Reato colposo e modelli di responsabilità, B.U.P., Bologna, 2013, p.118; G. De Francesco, L’imputazione della responsabilità penale in campo medico-chirurgico: un breve sguardo d’insieme, in Riv. it. med. leg., 2012, pp. 953 ss.; P. Pisa, G. Longo, La responsabilità penale per carenze strutturali e organizzative, in R. Bartoli (a cura di), Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche di impresa, cit., pp. 9 ss.; M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, cit., pp. 10 ss.; L. Risicato, Il nuovo statuto penale della colpa medica: un discutibile progresso nella valutazione della responsabilità del personale sanitario, in Legisl. Pen., 7 giugno 2017, p. 17; G. Rotolo, Medicina difensiva e giurisprudenza in campo penale: un rapporto controverso, cit., pp. 1259 ss.
  9. Si veda ad es. Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 1410 del 14 giugno 2000 in cui si è affermata, senza alcun riferimento al menzionato principio, la responsabilità del primario per problemi respiratori collegati al lavoro compiuto da un anestesista. Sul tema si veda il fondamentale studio di L. Risicato, L’attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 1 ss.; A. Manna, Medicina difensiva e diritto penale. Tra legalità e tutela della salute, P.U.P., Pisa, 2014, pp. 80 ss., nonché l’ancora attualissimo G. Marinucci, G. Marrubini, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in équipe, ora in G. Marinucci, La colpa. Studi, Giuffrè, Milano, 2013, 273 ss. Rileva come nella prassi giudiziaria sia ancora presente un atteggiamento estremamente rigoroso, che vede ad esempio attribuire la responsabilità per il ferro lasciato nel corpo del paziente non al solo ferrista, cui è specificamente deputato il compito del conteggio dei ferri, ma a tutti i membri dell’equipe, A. Roiati, Il ruolo del sapere scientifico e l’individuazione della colpa lieve nel cono d’ombra della prescrizione, in Dir. pen. Contemp., 20 maggio 2013.
  10. Svolge questa considerazione, con la citazione di pronunce giurisprudenziali sul punto, ancora A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale tra teoria e prassi giurisprudenziale, cit., pp. 170 ss.
  11. Sul punto la letteratura italiana è estremamente vasta e diversificata. Tra i tanti contributi – di taglio sia giuridico che medico – si vedano, ad esempio: P. Zangani, Condotta sanitaria omissiva e “medicina difensiva”, in Giust. Pen., 2002, p. 378 ss.; R. Vaiani, Qualità e consenso informato: un binomio inscindibile per una medicina non difensiva, in Sanità pubblica e privata, 2005, fasc. 4, pp. 90 e ss.; M. Capalbo, C. Cattò, N. Nardella, A. Ricci, La medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2007, pp. 909 ss.; M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Torino, 2017, pp. 1 ss.; A. Melucco, Medicina difensiva e risk management: problematiche assicurative in relazione alla mediazione e conciliazione delle controversie, in Temi Romana, 2007, 3, pp. 213 ss.; A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale tra teoria e prassi giurisprudenziale, cit., pp. 4 ss.; R. Bartoli, I costi “economico – penalistici” della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2012, pp. 1107 ss.; F. Buzzi, P. Danesino, V. Paliero, F. Randazzo, “Cause e mezzi” della medicina difensiva: riflessioni medico-legali, in Riv. it. med. leg. e dir. san., 2013, pp. 17 ss.; G. Rotolo, Medicina difensiva e giurisprudenza in campo penale: un rapporto controverso, cit., pp. 1259 ss.; A. Vallini, Paternalismo medico, rigorismi penali, medicina difensiva: una sintesi problematica e un azzardo “de iure condendo”, in Riv. it. med. leg. e dir. san., 2013, pp. 1 e ss.; C. Mazzuccato, A. Visconti, Dalla medicina narrativa alla giustizia riparativa in ambito sanitario: un progetto “integrato” di prevenzione delle pratiche difensive e di risposta alla colpa medica, in Riv. it. med. leg. e dir. san., 2014, pp. 847 ss.; A. Antonietti, V. Ferraro, Contributi della psicologia alla riduzione della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg. e dir. san., 2014, pp. 895 ss.; F. D’Alessandro, Contributi del diritto alla riduzione della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg. e dir. san., 2014, pp. 927 ss.; S. Alessandrini, A. Ferrante, P. M. Fioravanti, M. Paolucci, Dal controverso “Decreto Balduzzi” alla proposta di riforma della responsabilità medico-sanitaria: il contrasto alla medicina difensiva nel più vasto scenario della crisi del rapporto medico-paziente, in Riv. inf. mal. prof., 2016, 1, pp. 129 ss.
  12. Il dato è riportato da A. Panti, La responsabilità nelle attività mediche, in R. Bartoli (a cura di), Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche d’impresa, Firenze, 2010, 167. Sui costi della medicina difensiva si veda pure R. Bartoli, I costi “economico – penalistici” della medicina difensiva, cit., pp. 1107 ss.
  13. Tale incontro di studio, dal titolo “Medici in difesa – prima ricerca del fenomeno in Italia: numeri e conseguenze”, si è svolto a Roma in data 24 settembre 2008, e aveva la funzione di rendere pubblici i risultati di uno studio sul tema. Evidenzia i problemi appena esposti, tra gli altri, F. Introna, Un paradosso: con il progresso della Medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it. med. leg., 2001, 879 ss. Del medesimo Autore è altresì interessante, in chiave comparatistica, L’epidemiologia del contenzioso giudiziario per responsabilità medica in Italia e all’estero, in Riv. it. med. leg., 2001, pp. 71 ss.
  14. Per una sottolineatura dei gravi problemi derivanti dalla prassi in questione, si veda ancora R. Bartoli, I costi “economico-penalistici” della medicina difensiva, cit., pp. 1107 ss. Il problema è ben noto anche alla dottrina nordamericana su cui, tra gli altri, C. Bartholome, Leveraging our strengths: reinforcing pay for performance programs as the solution for defensive medicine, in Jour. health biom. law, 2008, pp. 333 ss.
  15. Trattasi di Cass. pen., sent. n. 8770 del 2018.
  16. Si vedano a tal proposito, tra gli altri, G. Canzio, I nuovi confini del diritto alla salute e della responsabilità medica, in Giur. It., 2014, pp. 2082 ss.; F. Basile, Itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 cod. civ. e legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma), in Dir. pen. contemp., 23 febbraio 2017, p. 184; L. Risicato, Il nuovo statuto penale della colpa medica: un discutibile progresso nella valutazione della responsabilità del personale sanitario, cit., p. 1.
  17. Sull’approccio casistico, nella definizione degli aspetti maggiormente importanti della riforma, L. Risicato, Linee guida e colpa non lieve del medico, il caso dell’attività di équipe, in Giur. It., 2014, in particolare pp. 2067 ss.
  18. Tra i tanti contributi critici sul tema, R. Blaiotta, Niente resurrezioni, per favore. A proposito di S.U. Mariotti in tema di responsabilità medica, in Dir. pen. contemp., 28 maggio 2019.
  19. Sui profili critici derivanti dal rispetto del principio di precisione, scaturente dall’introduzione di una responsabilità penale per sola colpa grave, ed in assenza di una qualsiasi definizione del concetto, A. Manna, Causalità e colpa in ambito medico tra diritto scritto e diritto vivente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, p. 1192. Sempre sul tema, si vedano le considerazioni di L. Risicato, Il nuovo statuto penale della colpa medica: un discutibile progresso nella valutazione della responsabilità del personale sanitario, cit., p. 18, la quale rileva che «ogni formula normativa ossimorica, contorta, ridondante produce l’effetto inevitabile di annientare le migliori intenzioni: di cui, del resto, è notoriamente lastricata la via dell’inferno».
  20. Sull’importanza del consenso dell’applicazione giurisprudenziale, al fine della modifica delle categorie dogmatiche, F. Palazzo, Causalità e colpa nella responsabilità medica (categorie dogmatiche ed evoluzione sociale) in Cassaz. Pen., 2010, in particolare p. 1240.
  21. In argomento, amplius, P.F. Poli, La colpa grave in diritto penale, Milano, 2021, Capitolo 2, paragrafi 2.4.6 e 2.4.7.
  22. L. Risicato, Le Sezioni Unite salvano la rilevanza in bonam partem dell’imperizia “lieve” del medico, in Giur. it., 2018, pp. 948 ss.
  23. Il dato, rivelato ad un convegno in materia di responsabilità medica dal Procuratore Aggiunto di Milano Tiziana Siciliano, è stato riportato dai principali organi di stampa: cfr. https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/denuncia-medici-1.4230220; https://milano.repubblica.it/cronaca/2018/10/08/news/sanita_colpe_mediche_una_denuncia_al_giorno_medico_procura_milano_dati_2017-208473050/.
  24. Sul punto, Cass. civ., sent. n. 6141 del 1978.
  25. Cfr. Cass. civ. 8 marzo 1979, n. 1716; Cass. civ. 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. civ. 26 marzo 1990, n. 2428; Cass. civ. 13 marzo 1998, n. 2750.
  26. Sul tema A. Querci, Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra riforma Balduzzi, disegni di legge e novità giurisprudenziali”, in Nuova Giur. Civ., 2014, 1, 2015, e R. De Matteis, Responsabilità e servizi sanitari. Modelli e funzioni, in F. Galgano (a cura di), in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova, XLVI, 2007, p. 618.
  27. G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento. Danno risarcibile, CEDAM, Padova, 2005, III, p. 251.
  28. Cfr. Cass. civ., sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556, in Foro it., 2002, I, 3062; Cass., 2 febbraio 2005, n. 2042, in Danno e resp., 2005, p. 441; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698, in Ced. Cass., 2006.
  29. Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 2009; R. De Matteis, Dall’atto medico all’attività sanitaria: quali responsabilità, in S. Rodotà, P. Zatti (a cura di), in Trattato di biodiritto, Giuffrè, Milano, 2011, IV, pp. 123 ss.
  30. A.M. Siniscalchi, Il doppio regime di responsabilità del medico: ritorno al passato o nuova prospettiva di tutela per il paziente ?, in Danno e Resp., 2019, 4, p. 461.
  31. Sulla nozione di “medicina difensiva”, e la relativa letteratura di riferimento, si rinvia alle considerazioni svolte nelle precedenti note 4 e 11.
  32. A.M. Siniscalchi, Il doppio regime di responsabilità del medico: ritorno al passato o nuova prospettiva di tutela per il paziente ?, cit.; cfr., inoltre, F. Gelli, M. Hazan, La riforma “Gelli”, principi ispiratori e coordinate di base, in F. Gelli, M. Hazan, D. Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 4 e ss.
  33. Cfr. A. Querci, Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra riforma Balduzzi, disegni di legge e novità giurisprudenziali, cit.
  34. L’art. 3, comma 11, legge n. 189 del 2012, ad oggi così recita: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 cod. civ. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta del primo periodo”.
  35. Cfr. F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2013, 673 ss.; M.G.Di Pentima, L’onere della prova nella responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 2013, passim; N. Tedeschini, Decreto Balduzzi: alla ricerca di un senso”, in www.personaedanno.it, 28 maggio 2013.
  36. Cass., 19 febbraio 2013, n. 4030, in Danno e resp., 2013, 3, pp. 367 ss.
  37. Secondo Cass. civ., 19 febbraio 2013, n. 4030, cit.: “La responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura, da contatto sociale”.
  38. A. Querci, Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra riforma Balduzzi, disegni di legge e novità giurisprudenziali, cit.
  39. Ancora A. Querci, ibidem, e M.P. Gervasi, Solidarietà risarcitoria e rivalsa nella responsabilità sanitaria, in Danno e Resp., 2021, 3, p. 292.
  40. L’art. 7, legge n. 24 del 2017, così dispone: «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del cod. civ., delle loro condotte dolose o colpose. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 della presente legge e dell’articolo 590-sexies, cod. pen., introdotto dall’art. 6 della presente legge. Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto art. 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile» (il corsivo è volto alla sottolineatura delle formulazioni normative più rilevanti, così come considerate nel testo).
  41. Cfr. P. Frati, P. Mancarella, F. Vizzino, R. La Russa., V. Fineschi, Profili di responsabilità medica nell’emergenza Covid- 19: è già tempo per una rivisitazione della legge n. 24/2017, in Resp. Civ. Prev., 2020, 5, p. 1714.
  42. Le cosiddette “sentenze di San Martino bis”, del 2019, rappresentano dieci sentenze della Terza Sezione della Corte di Cassazione (Cass. civ., III sez., sent. 11 novembre 2019, nn. 28985-28994) in materia di malpractice medica. Tale “decalogo” di provvedimenti ha il pregio di affrontare questioni controverse e parallele a quelle di cui si è occupata la Legge Gelli-Bianco, quali: la causalità, il consenso informato, la perdita di chanche, l’onere della prova, ed infine il criterio di riparto della responsabilità fra medico e struttura ex art. 1228 cod. civ. La finalità perseguita dai giudici di legittimità è stata quella di razionalizzare e consolidare gli indirizzi giurisprudenziali, in materia di responsabilità medica, affermatisi dopo le c.d. “sentenze San Martino”, queste ultime emanate dalle Sezioni Unite della medesima Corte di Cassazione, nell’anno 2008 (Cass. civ., sez. un., sent. 11 novembre 2008, nn. 26972-26975). Nelle citate sentenze del 2019 viene in particolare riconosciuta autonoma rilevanza al danno per violazione degli obblighi informativi nei confronti del paziente: nel momento in cui la giurisprudenza fondava il rapporto tra il medico e il paziente sul c.d. “contatto sociale”, la violazione degli obblighi informativi rappresentava infatti soltanto uno degli elementi necessari all’accertamento del grado di diligenza dell’operatore sanitario. Per quanto riguarda, altresì, l’onere della prova, è la sent. n. 28991 del 2019 (Cass. civ., III sez.) a tracciare i principi generali di riferimento: in sintesi, i giudici di legittimità chiariscono che l’onere della prova grava sul paziente, e che la prova può essere dimostrata anche ricorrendo al ragionamento presuntivo originato dal nesso causale tra la condotta dei medici ed il pregiudizio patito dal paziente, per il peggioramento delle sue condizioni di salute. Sulla struttura sanitaria grava, invece, la prova della causa non imputabile in merito alla impossibilità della prestazione. Amplius, sul tema: N. Rizzo, Inadempimento e danno nella responsabilità medica: cause e conseguenze, in Nuova Giur. Civ., 2020, 2, p. 327; G. Facci, San Martino, il consenso informato ed il risarcimento dei danni, in Corr. Giur., 2020, 3, p. 348; C. Signoretta, Antinomie risarcitorie e auto-determinismo terapeutico. Una probatio diabolica o una prova provata?, in Danno e Resp., 2021, 4, p. 500 , e G. Navone, La responsabilità del medico per inosservanza dell’obbligo informativo, in Nuovi Leggi Civ. Comm., 2020, 6, p. 1394.
  43. Cass. civ., 11 novembre 2019, nn. 28891 e 28892.
  44. A.M. Siniscalchi, Il doppio regime di responsabilità del medico: ritorno al passato o nuova prospettiva di tutela per il paziente ?, cit.
  45. In argomento, ancora P. Frati, P. Mancarella, F. Vizzino, R. La Russa., V. Fineschi, Profili di responsabilità medica nell’emergenza Covid- 19: è già tempo per una rivisitazione della legge n. 24/2017, in Resp. Civ. Prev., 2020, 5, p. 1714.
  46. A. D’Adda A., Pandemia e modelli “dogmatici” di responsabilità sanitaria”, in Riv. Dir. Civ., 2021, 3, p. 451.
  47. Sul tema, amplius, G. Bottino, Responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Enc. Dir., 2017, Annali X, pp. 756 ss. e, ivi, la bibliografia richiamata.
  48. Art. 1, comma 1, d.lgs. n. 174 del 2016
  49. Articoli 82 e 83, R.D. n. 2440 del 1923; art. 52, R.D. n. 1214 del 1934; Articoli 18 e ss. D.P.R. n. 3 del 1957; art. 1, legge n. 20 del 1994.
  50. Sulla nozione di “rapporto di impiego o di servizio” – e sul suo costante e progressivo ampliamento giurisprudenziale -G. Bottino, Responsabilità amministrativa per danno all’erario, cit., p. 764 e ss.
  51. In argomento, amplius, M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, in A. Canale, D. Centrone, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), La Corte dei Conti. Responsabilità, contabilità, controllo, Milano, 2019, 351 e ss. e, ivi, l’approfondita analisi critica della legislazione, della giurisprudenza, e della dottrina di riferimento.
  52. “L’ambito sanitario è altro settore che impegna l’attività istruttoria di numerose Procure Regionali su più fronti: a) per i danni prodotti per la cd. colpa medica, sub specie anche di danno indiretto (per i danni prodotti dall’attività medica e per i quali è stata chiamata a risponderne la struttura sanitaria interessata); b) per i danni dovuti alle diverse e ripetute violazioni commesse dal personale medico nella titolarità del rapporto sinallagmatico di lavoro per la violazione del regime di esclusività ovvero per i danni dovuti alle diverse violazioni commesse dai medici specializzandi in medicina generale con riferimento al regime delle incompatibilità (…); c) per i danni da iperprescrizione di farmaci (numerose sono le iniziative della Procura Regionale per la Campania). Si segnala anche che la Procura Regionale per l’Emilia Romagna ha avviato un esame dei criteri di accertamento dei presupposti dell’azione risarcitoria di rivalsa nei confronti del medico e della struttura sanitaria in considerazione della transizione avviata dalla Regione Emilia Romagna verso un nuovo sistema centralizzato di gestione diretta della assicurazione del danno alla salute da attività sanitaria (l.r. Emilia Romagna n. 13 del 2012 (…)), con la finalità di superare una molteplicità di questioni critiche connesse alle clausole di franchigia assicurativa, incidenti in misura significativa sul bilancio regionale. Ha tenuto conto che la colpa medica è stata di recente ricondotta nell’area segnata dalle linee-guida, poiché l’art. 3 della legge n. 189 del 2012 […], contiene la disposizione secondo la quale: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile». Sulla base del suddetto studio la Procura citata ha introdotto nel 2014 molteplici giudizi di responsabilità amministrativa per colpa medica da infrazione delle linee-guida in materia di trattamenti sanitari”, così la Relazione scritta del Procuratore Generale della Corte dei Conti per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, 140-141, richiamata in G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, cit., 101-102 e, ivi, l’ampia bibliografia dedicata al regime giuridico, vigente al tempo, della responsabilità erariale degli esercenti le professioni sanitarie.
  53. «Negli anni 2012 e 2013: “in primo luogo, vengono in rilievo i “danni indiretti” conseguenti ai risarcimenti pagati dall’Amministrazione in favore delle vittime della c.d. “malasanità»; questi risarcimenti, in vari casi, sono stati addebitati dalla Corte dei Conti ai sanitari ritenuti responsabili a titolo di “colpa grave” degli episodi in questione (ad esempio, la Sez. Giurisdiz. Basilicata, sent. n. 53 del 2012 ha condannato due medici al risarcimento del danno corrisposto in favore dei genitori di una neonata, che aveva riportato patologie irreversibili nel venire alla luce; la Sez. Giurisdiz. Marche, sent. n. 86 del 2012 ha condannato un medico del pronto soccorso che aveva diagnosticato una patologia gastrica ed aveva quindi dimesso un paziente che presentava invece i segni d’un infarto acuto al miocardio e che era deceduto dopo poche ore; la Sez. Giurisdiz. Piemonte, sent. n. 145 del 2012 ha condannato i responsabili di ritardata diagnosi e omessa cura di meningite a danno di una bambina che aveva subito danni irreversibili (…))” (…). Per ciò che concerne i “danni diretti”: «altra fattispecie ricorrente è quella relativa ad attività libero-professionali. Si è affermato (Sez. Giurisdiz. Calabria, sent. n. 239 del 2012; Sez. Giurisdiz. Molise, sent. n. 75 del 2012) (…) che l’espletamento da parte di medici ospedalieri in regime di esclusività di attività libero-professionale extra moenia determina danno erariale costituito dall’indebita percezione delle indennità corrisposte in ragione della natura esclusiva del rapporto di lavoro instaurato (almeno nei casi di fatturazione personale, da parte del medico, della prestazione sanitaria) (…)». Ed ancora, con riferimento ai “medici specializzandi”: «la violazione delle regole (…) connotate dal carattere vincolante del regime di incompatibilità [stabilito dalla normativa di settore] che inibisce al medico in formazione l’esercizio di attività libero-professionali e ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza, con il Servizio Sanitario Nazionale o con enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo, fatte salve le sole sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati, nonché le sostituzioni per guardie mediche notturne, festive e turistiche (Sez. Giurisdiz. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sentenze nn. 24 e 26 del 2013; Sez. Giurisdiz. Liguria, sent. n. 208 del 2013)” (…)», così le Relazioni scritte del Presidente della Corte dei Conti, per l’inaugurazione degli anni giudiziari 2013 e 2014, rispettivamente pp. 132-133 e p. 154, richiamate in G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, cit., pp.147-148.
  54. “Per le fattispecie definitivamente decise in appello (tra danni “diretti”, e danni “indiretti”): a) per il “danno indiretto”: «la Sez. Giurisdiz. App. Sicilia, sent. n. 18 del 2012 ha condannato due anestesisti che, nel praticare l’intubazione e l’intervento di tracheotomia su un paziente di tre anni e mezzo, avevano causato il decesso del bambino” (…)»; «una prima tipologia che si mostra in rilievo per questo ambito di attività riguarda il c.d. “danno iatrogeno” che, nel corso del tempo, ha visto incrementarsi il contenzioso di tipo civile e penale (dal quale possono poi derivare giudizi di responsabilità azionati in rivalsa nei confronti degli operatori sanitari), stante anche un radicale mutamento di prospettiva che, a partire dagli anni ‘70 e sul piano giuridico, ha caratterizzato il rapporto medico-paziente. (…) La Sezione Giurisdiz. I Centr. App. (sent. n. 312 del 2013) ha sottolineato (…) che la valutazione degli accertamenti peritali, pronunciatisi in tema di condotta medica, va operata secondo il principio in base al quale il nesso di causalità tra condotta e danno è sussistente non solo quando quest’ultimo possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile”, (…); b) sul “danno diretto”: “mancati aggiornamenti delle liste degli assistiti di medicina generale da parte dei medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale che [in trasgressione di obblighi previsti dalla normativa di settore] impediscono l’eliminazione dalle stesse di pazienti trasferiti, deceduti, revocati o i doppioni ancora in carico, continuandosi così a corrispondere indebitamente quote di compensi, in realtà non dovuti, ai sanitari convenzionati in base alle tariffe previste dal Contratto Collettivo [Nazionale] di Lavoro (Sez. Giurisdiz. I Centr. App., sent. n. 513 del 2013)” (…)», così le Relazioni scritte del Presidente della Corte dei Conti, per l’inaugurazione degli anni giudiziari 2013 e 2014, rispettivamente p. 133 e pp. 150-154, richiamate in G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, cit., p. 169.
  55. Per un approfondito commento al testo normativo: M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, cit., 351 e ss.; V. Tenore, L’azione di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei Conti, e I. Partenza, L’azione di rivalsa delle strutture private, in F. Gelli, M. Hazan, D. Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, cit., rispettivamente pp. 469 e ss., e pp. 521 e ss.
  56. Gli elementi essenziali di tale azione di rivalsa sono i seguenti (art. 9): può essere esercitata soltanto in caso di “dolo o colpa grave” dell’esercente la professione sanitaria (comma 1); se quest’ultimo non è stato parte del giudizio, o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa – nei suoi confronti – può essere esercitata soltanto successivamente all’effettivo risarcimento del danno posto in essere dalla struttura sanitaria, sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale nei confronti del paziente danneggiato, e deve essere esercitata – a pena di decadenza – entro un anno dall’avvenuto pagamento del quantum risarcitorio (comma 2); se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio che il paziente danneggiato ha azionato contro la struttura sanitaria, la decisione ivi pronunciata “non fa stato” nel giudizio di rivalsa che la medesima struttura pone in essere nei suoi confronti (comma 3); nel giudizio di rivalsa, la transazione intervenuta tra la struttura sanitaria ed il paziente danneggiato non è comunque “opponibile” nei confronti dell’esercente la professione sanitaria (comma 4).
  57. Amplius, M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, cit., 351 e ss., e A. Iadecola, Rapporti con il giudizio civile, in A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, Milano, 2021, 686.
  58. Sul testo normativo, anche mediante la bibliografia ivi richiamata, si rinvia alle osservazioni critiche di G. Bottino, Le azioni e le omissioni nella responsabilità erariale, in Bilancio Comunità Persona, 2021, 1, pp. 86 e ss.
  59. «È necessario (…), perché si possa parlare di danno erariale indiretto che si realizzi la concreta conseguenza patrimoniale negativa per l’erario che consegue al pagamento del risarcimento (ed indipendentemente dal titolo giudiziale o transattivo) (cfr. Sez. Riun. n. 12/2011), in quanto – anche se più che altro in linea astratta – anche una sentenza passata in giudicato potrebbe non esser portata ad esecuzione dalla parte, con possibile prescrizione decennale del diritto ivi affermato», M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, cit., p. 373.
  60. «La citata normativa [la legge n. 24 del 2017, ed il suo art. 9] disegna compiutamente un nuovo sistema di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie ed ha, pertanto, natura sostanziale, di talché le disposizioni di natura processuale, pure in essa contenute, non possono che leggersi in stretta ed indispensabile connessione con il complesso del nuovo regime di responsabilità, non essendone ipotizzabile una applicazione avulsa dalla intra vigenza del nuovo sistema», così Corte Conti, Sez. Giurisdiz. Centr. I App., sent. n. 536 del 2017, testualmente richiamata in M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, cit., p. 355.
  61. «[L’art. 9, comma 5, terzo periodo] indica quale fulcro interpretativo la realizzazione dell’evento lesivo, ed in tale prospettiva può ritenersi che anche il suo ambito temporale vada circoscritto a quegli eventi lesivi consumatisi successivamente all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco», così ancora M. Smiroldo, Il danno da responsabilità medica, cit., p. 354.

Gabriele Bottino

Full Professor of Administrative Law at the University of Milan and Deputy Editor in Chief of CERIDAP

Chiara Padrin

PhD student in Public, International and European Law at the University of Milan

Pier Francesco Poli

Research Fellow in Criminal Law at the University of Milan