Introduzione

Negli ultimi 20 anni l’utilizzo dei GC in campo medico è aumentato di quasi il 20%. Attualmente si stima che circa l’1–1,2% della popolazione mondiale assuma terapie, spesso croniche, a base di GC e che due terzi di questi pazienti vadano incontro ad almeno uno dei molti effetti collaterali di questi farmaci [1]. Come ben noto, accanto all’azione immunosoppressiva e antinfiammatoria, i GC sono gravati da numerosi effetti avversi. Tuttavia, la quasi totalità di essi è stata descritta utilizzando come modello di malattia la SC endogena, condizione ben più rara, ma di cui sono ben noti in letteratura l’epidemiologia, la patogenesi e il trattamento delle varie comorbilità cortisolo-relate [2]. Esistono invece pochi studi che abbiano direttamente valutato l’incidenza reale delle comorbilità legate ai GC esogeni, e la maggioranza di essi restano inconclusivi, anche per il fatto di uniformare i vari GC a una stessa unità di misura ovvero i “prednisone (o prednisolone) equivalenti” (PE). È noto come vi siano numerose tipologie di GC, ciascuna con una diversa potenza recettoriale, con diversa attività mineralcorticoide e con diverse formulazioni ed emivita. Se tali differenze tra le varie molecole si accompagnino a una diversa incidenza di effetti avversi non è ancora del tutto noto. Fisiologicamente il cortisolo endogeno possiede una breve emivita, e il tempo di legame con il recettore, inoltre, è limitato dall’effetto di feedback negativo veloce “fast feedback” verso ipotalamo e ipofisi che porta al rapido calo plasmatico della molecola [3]. L’emivita dei GC sintetici è invece di diverse ore e in alcuni casi di giorni, con conseguente prolungata attivazione recettoriale. La seguente rassegna si concentrerà nel descrivere dal punto di vista epidemiologico e patogenetico le varie comorbilità e i vari effetti avversi legati ai GC esogeni. Sono stati considerati gli studi in cui siano state direttamente prese in considerazione tali molecole.

Effetti cardiovascolari

Il rischio di sviluppare ipertensione nei pazienti esposti ai GC è stimato essere circa 2,2 volte più elevato rispetto ai pazienti non esposti. Utilizzando alte dosi di steroidi per più di 3 mesi, l’incidenza di ipertensione descritta in letteratura è di circa il 9%, dato che sale al 37% se si considerano pazienti con età >65 anni [4].

Sono state proposte due forme diverse di patologia: la prima tipologia comprende tutti quei pazienti che sviluppano ipertensione precoce dopo l’avvio della terapia, in assenza dei classici fattori di rischio cardiovascolare. La seconda tipologia riguarda, invece, tutti i casi di sviluppo tardivo di ipertensione, quasi contestuale all’incremento ponderale e gli effetti metabolici GC-indotti [5].

Uno dei principali meccanismi patogenetici riguarderebbe lo sbilanciamento tra sostanze vasocostrittrici e vasodilatatrici. Nei pazienti che assumono GC è stata infatti dimostrata la carenza di ossido nitrico (NO), secondaria a una ridotta trascrizione dell’enzima ossido nitrico sintasi e a un aumentato consumo di NO da altre specie reattive dell’ossigeno. Altri meccanismi includono un aumento dell’espressione vascolare dei recettori AT1 dell’angiotensina e dei recettori V1a della vasopressina. Il ruolo della ritenzione idrosalina nel danno indotto da cortisonici è ancora oggetto di discussione; tutti i GC presentano, infatti, una minor potenza mineralcorticoide rispetto al cortisolo endogeno; inoltre, alcuni autori hanno dimostrato che la somministrazione di anti-mineralcorticoidi come lo spironolattone non si è dimostrata efficace nel prevenire né trattare l’ipertensione GC-indotta [6].

I fattori di rischio per lo sviluppo di ipertensione sembrano essere la familiarità, il tempo di esposizione e la dose giornaliera di GC [5, 7].

Anche l’aumentato rischio di sviluppare fibrillazione o flutter atriale è stato descritto essere sei volte maggiore (OR: 6,07 [3,90–9,42]) nei pazienti esposti a più di 7,5 mg/die di PE rispetto a controlli non esposti a GC [8]. Tale effetto è noto essere secondario all’azione mineralcorticoide sul tessuto cardiaco con conseguente sviluppo di fibrosi, e predisposizione alle aritmie [9]. In uno dei più ampi lavori presenti in letteratura, Li Wei e collaboratori analizzavano l’impatto dei GC in 68.781 pazienti confrontati con 82.202 non esposti a tali farmaci. I risultati evidenziavano un incremento del rischio da due a quattro volte di infarto miocardico, scompenso cardiaco, stroke e mortalità globale nei pazienti che assumevano dosi >7,5 mg/die di PE. Il rischio cardiovascolare risultava, inoltre, maggiore nei pazienti con uso continuativo (definito come >180 giorni) di GC. Tali risultati si confermavano anche dopo la correzione per ipertensione arteriosa, dislipidemia e disordini del metabolismo glucidico, suggerendo un’azione dei GC sul rischio cardiovascolare indipendente dal peggioramento dei “classici” fattori di rischio [10].

La forte associazione di dose-dipendenza tra GC ed eventi cardiovascolari è stata confermata da un recente lavoro prospettico in cui si stimava che, dopo 1 anno di esposizione a dosi fino a 5 mg/die di PE, l’incidenza di eventi cardiovascolari cumulativi era di circa il 3,8 \(vs\) 1,5% nei non esposti. L’incidenza saliva al 9,1% per dosi >25 mg/die di PE, mentre dopo 5 anni di utilizzo di GC si registrava un’incidenza del 19,7% per dosi <5 mg/die PE e addirittura del 28% per dosi >25 mg/die [4]. Ciò conferma, dunque, una correlazione diretta tra rischio cardiovascolare e tempo di esposizione, oltre che con la dose giornaliera.

Allo stato attuale, non vi sono strategie di screening e di prevenzione condivise delle complicanze cardiovascolari GC-indotte; tuttavia, molti autori sostengono che una strategia iniziale dovrebbe comprendere perlomeno la misurazione della pressione arteriosa e la ricerca di segni di vasculopatia periferica, riservando test di secondo livello (test da sforzo, ecocardiografia) a pazienti ad alto rischio (Fig. 1) [5].

Fig. 1
figure 1

Rappresentazione dei principali effetti avversi dei GC

Alterazioni metaboliche

L’effetto pro-diabetogeno dei GC è ben noto in letteratura e coinvolge meccanismi pleiotropici a livello di pancreas, fegato, del tessuto muscolare e adiposo. Nel fegato i GC presentano un effetto stimolante nei confronti della gluconeogenesi, principalmente verso gli enzimi piruvato carbossilasi, fosfo-fruttochinasi e glucosio 6-P-fosfatasi. Vi è anche un’azione indiretta mediante un effetto “facilitatorio” dei GC nei confronti di altri ormoni controregolatori iperglicemizzanti, soprattutto il glucagone. Inoltre, essi stimolano i processi proteolitico e lipolitico, contribuendo a rifornire di substrati il processo gluconeogenetico [11]. Il principale effetto di GC è, tuttavia, quello di indurre un importante aumento dell’insulino-resistenza, riducendo dunque l’uptake cellulare del glucosio, la glicolisi e la glicogenosintesi. Ciò avviene a livello epatico, muscolare e adiposo ed è conseguente all’interferenza post-recettoriale nella via di trasduzione del segnale insulinico, inibendo l’attività di IRS-1, l’enzima PI-3 chinasi e AKT. Il mantenimento di uno stato di insulino-resistenza è favorito anche dall’azione lipolitica nel tessuto adiposo, che contribuisce a incrementare i livelli ematici e tissutali di acidi grassi liberi.

È stato inoltre dimostrato un effetto diretto dei GC verso la \(\beta \)-cellula pancreatica mediante la riduzione dell’espressione del trasportatore GLUT2 e dell’enzima glucochinasi, essenziali nell’avvio della risposta insulinica [12, 13].

Nei pazienti in terapia con GC non precedentemente diabetici è stato riportato un rischio da due a quattro volte maggiore di sviluppare diabete mellito rispetto ai non utilizzatori di GC. Tale rischio correla positivamente con la durata della terapia e la dose giornaliera ed è stato dimostrato essere significativo anche con dosi <7,5 mg/die di PE [5].

Anche i pazienti esposti a steroidi inalatori presentano un aumento del rischio; in un lavoro di Suissa e collaboratori vengono infatti analizzati 388.584 pazienti esposti a tali molecole con una prevalenza stimata di diabete mellito del 34% [14].

Attualmente i pazienti più a rischio rimangono quelli con diabete mellito preesistente, con familiarità per diabete e quelli esposti ad alte dosi di GC e per lunghi periodi.

Seppure non vi sia un unico approccio condiviso per quanto riguarda lo screening del diabete nei pazienti in terapia con GC, gli standard di cura AMD-SID italiani raccomandano lo screening almeno triennale, con dosaggio della glicemia a digiuno, OGTT ed emoglobina glicata, nei pazienti con condizioni di insulino-resistenza, che è appunto uno dei principali effetti avversi dei GC.

Per quanto riguarda il trattamento del diabete in questa popolazione di pazienti, va ricordato che i GC tendono a indurre un peggioramento principalmente dei profili glicemici post-prandiali, per cui non è raro dover ricorrere alla somministrazione di insulina rapida ai pasti. Valide alternative di prima linea rimangono la metformina e i farmaci incretinici [15].

A livello metabolico sono descritte possibili alterazioni del metabolismo lipidico. È noto come i pazienti con SC endogena sviluppino ipertrigliceridemia, aumento del colesterolo LDL e calo del colesterolo HDL [16]. Tuttavia, i dati riguardanti la dislipidemia correlata a GC sono scarsi e conflittuali. Sono infatti state riportate ipertrigliceridemia isolata oppure associata a ipercolesterolemia, ma anche totale assenza di impatto sul profilo lipidico o addirittura aumento del colesterolo HDL. Tali risultati riflettono l’eterogeneità della popolazione presa in esami nei vari studi, soprattutto in termini di sesso, età, comorbilità, tipo e dose di GC. Inoltre, la maggior parte dei lavori deriva da popolazioni di pazienti trapiantati, in terapia con farmaci potenzialmente impattanti sul metabolismo lipidico, in primis la ciclosporina. I meccanismi fisiopatologici sono multifattoriali e non del tutto noti. I GC hanno infatti un importante effetto di induzione della lipolisi e della sintesi epatica di VLDL [17]. È stato proposto un ruolo della 11-beta-idrossi-steroide-deidrogenasi (11betaHSD) nella dislipidemia; in ratti con iper-espressione di tale enzima sono stati dimostrati aumento dell’insulino resistenza, steatosi epatica e dislipidemia, mentre in ratti knock-out per la 11betaHSD è stato osservato un miglioramento del profilo lipidico [18].

Al momento non vi sono linee guida ufficiali che trattino la gestione della dislipidemia secondaria ai GC; tuttavia, nei pazienti in terapia cronica un monitoraggio costante del profilo lipidico per eventuale avvio di terapia ipolipemizzante, resta la strategia migliore.

Similmente ai pazienti con SC, nel 60–70% dei soggetti sottoposti a terapie croniche con GC viene riportato un incremento ponderale. Fardet e collaboratori, in una coorte di 80 pazienti sottoposti per almeno 3 mesi a dosi di GC >20 mg/die di PE, riportavano un incremento ponderale di almeno 3 Kg nel 15 e nel 34% dei pazienti, rispettivamente a 3 e 6 mesi [19]. Il rischio di lipodistrofia e incremento ponderale, tuttavia, aumenta già a partire da dosi di 5–7,5 mg/die di PE.

L’aumento di peso è fenotipicamente compatibile con obesità centrale, comparsa di buffalo hump, facies lunaris, e incremento del tessuto adiposo viscerale. I GC possiedono, infatti, un effetto lipolitico che si manifesta in acuto e a breve termine mediante stimolazione dell’enzima lipasi ormono-sensibile. A medio-lungo termine, invece, prevalgono gli effetti pro-differenzianti verso i pre-adipociti in adipociti maturi, di ipertrofizzazione degli adipociti stessi e di iperplasia del tessuto adiposo [20]. Dal punto di vista fisiopatologico sono stati riportati un’aumentata densità recettoriale dei GC nel tessuto adiposo viscerale e una stimolazione diretta del gene LMO3 come possibili meccanismi di accumulo di grasso viscerale nei pazienti in terapia con GC [21].

Alterazioni del profilo coagulativo

Nei pazienti con SC è ormai ben noto l’aumento del rischio di tromboembolismo venoso (VTE). Gli elevati livelli di cortisolo si associano, infatti, a incremento del fattore di von Willebrand circolante e alla presenza di multimeri molecolari più grandi, nonché a un aumento dei fattori della coagulazione II, V, IX e, soprattutto, VIII. Inoltre, è stato dimostrato un incremento di fattori antifibrinolitici come PAI1 e alfa2-antiplasmina e tali alterazioni possono persistere anche dopo la remissione di malattia. Tutto ciò sposta la bilancia coagulativa in senso pro-trombotico e rende ragione dell’elevato rischio di VTE cui vanno incontro i pazienti con ipercortisolismo endogeno [22]. L’associazione tra VTE e assunzione di GC esogeni presenta, invece, una letteratura estremamente meno fiorente, ed è perlopiù basata su studi che comprendono specifiche popolazioni di pazienti con malattie infiammatorie polmonari o malattie reumatologiche sistemiche. Vi sono tre principali studi epidemiologici in letteratura. Huertas e collaboratori hanno analizzato 6550 pazienti con nuova diagnosi di VTE, riscontrando un rischio di tre volte maggiore tra gli utilizzatori di GC orali rispetto ai non utilizzatori (OR: 3,05 [2,52–3,69]). Tale rischio sembra essere più elevato nei primi 30 giorni di terapia (OR: 4,68), rispetto all’intervallo 31–365 giorni (OR: 3,44) e >365 giorni (OR:2,00) [23]. In uno studio caso-controllo danese, Johannesdottir e colleghi includevano un’ampia popolazione di 38.765 pazienti con diagnosi di VTE, confrontati con 387.650 controlli sani, riportando un incrementato rischio di VTE, soprattutto embolia polmonare, in pazienti in terapia con GC. Sono stati considerati vari tipi di formulazioni di steroidi: orali, inalatori, steroidi ad azione intestinale e iniettivi, riscontrando un maggior rischio per quanto riguarda la formulazione orale, direttamente proporzionale alla dose e con apice massimo entro i primi 90 giorni dall’inizio della terapia [24]. In un ulteriore studio caso-controllo, Stuijver e collaboratori analizzavano 4495 pazienti ospedalizzati per embolia polmonare, confrontati con 16.802 controlli sani, riscontrando un rischio quattro volte maggiore negli utilizzatori di GC (OR: 4,4 [3,8–5,0]). Anche in questo lavoro il rischio risultava massimo entro i primi 30 giorni di terapia e proporzionale alla dose di GC; tuttavia, un’aumentata incidenza di embolia polmonare veniva riscontrata anche per basse dosi di GC (<5 mg/die di PE) [25].

Sebbene prendano vengano considerate popolazioni diverse, e parametri non sempre confrontabili, i dati che emergono dalla letteratura disponibile sembrerebbero confermare un’associazione abbastanza marcata tra utilizzo di GC e rischio di VTE. Se il rischio sia esclusivamente attribuibile ai GC o venga in realtà amplificato dalle malattie infiammatorie dei pazienti presi in considerazione dovrà essere chiarito con studi futuri confrontando, ad esempio, coorti di pazienti trattati con GC \(vs\) trattamento con farmaci biologici. Il rischio trombotico sarebbe comunque presente già a dosi modeste di GC e incrementerebbe in maniera proporzionale alla posologia; inoltre, sarebbe maggiore per i GC somministrati per via sistemica, seppur significativo anche per le formulazioni assunte per via inalatoria. Importante risulta la tempistica di somministrazione, essendo infatti il rischio di VTE massimo entro i primi 30 giorni dall’avvio della terapia. Per tale motivo, malgrado non esistano linee guida a riguardo, la contemporanea somministrazione di profilassi anti-trombotica nei primi 30 giorni di terapia, dovrebbe essere considerata soprattutto nei pazienti più a rischio. Tale pratica risulta invece ormai radicata per i pazienti con sindrome di Cushing nel periodo peri- e postoperatorio (Fig. 2) [26].

Fig. 2
figure 2

Correlazione tra dose e rischio di complicanze GC correlate

Ruolo del recettore dei glucocorticoidi

Il recettore dei GC (GCR) è codificato dal gene NR3C1, localizzato nel braccio lungo del cromosoma 5. Una maggior attivazione o repressione della trascrizione genica a valle del GCR può essere influenzata da numerosi polimorfismi. In altri termini, in pazienti in terapia con GC la presenza o meno di un determinato polimorfismo si può tradurre, a parità di dose, in una maggior o minore sensibilità al farmaco, con conseguente variabile efficacia terapeutica e sviluppo di effetti avversi [27]. Il polimorfismo ER22/23EK, presente in circa il 3% della popolazione, si associa a una minor sensibilità ai GC e a un miglior profilo metabolico, con minor rischio di diabete mellito tipo 2 e malattia cardiovascolare. Analoghe caratteristiche si riscontrano nei pazienti che ospitano il polimorfismo GR-9\(\beta \), presente nell’8% della popolazione generale. Il polimorfismo N363S, invece, localizzato nell’esone 2 del gene NR3C1 e presente nel 4% della popolazione generale aumenta l’attività trascrizionale del GCR associandosi a incrementata sensibilità ai GC. I pazienti con questa mutazione sono soggetti ad aumentato BMI, a un maggior rischio di obesità, diabete mellito e coronaropatia. Uno dei polimorfismi più studiati è il BclI, presente nel 25% della popolazione, che si associa a maggior sensibilità ai GC. Vi sono diverse evidenze a conferma del fatto che i soggetti affetti da tale polimorfismo presentino maggior rischio di sviluppare ipertensione, obesità, malattia cardiovascolare ma anche disturbi psichiatrici [28].

Una maggior comprensione tali polimorfismi potrà permettere di identificare i pazienti più a rischio di sviluppare complicanze, con la possibilità di trattare con una dose più bassi i soggetti più sensibili ai GC.

Oltre ai polimorfismi recettoriali, vanno inoltre tenuti in considerazione tutti i casi di concomitanti terapie farmacologiche come, ad esempio, gli antiretrovirali che, mediante inibizione del citocromo CYP3A4, possono aumentare la biodisponibilità e l’emivita dei GC aumentandone, quindi, l’esposizione nei pazienti (Tabella 1) [29].

Tabella 1 Potenza relativa dei glucocorticoidi riferita allo standard di 1 di idrocortisone

Conclusioni

Le evidenze attuali in merito alla SC esogena sono molto meno solide rispetto a quelle della SC endogena. È comunque possibile dedurre come il rischio di complicanze sia proporzionale alla dose, al tempo di assunzione e a formulazioni sistemiche di GC. I maggiori limiti negli studi che hanno analizzato l’impatto dei GC restano, infatti, il bias della selezione della popolazione di base, spesso con patologie infiammatorie che di per sé possono aumentare il rischio di complicanze, e l’assenza di sotto-analisi stratificate per tipologia di molecola. La prevalenza della SC esogena è potenzialmente significativa, essendo la somministrazione di GC estremamente frequente nella popolazione, un po’ come l’ipercortisolismo subclinico a carico degli incidentalomi surrenalici, tutt’altro che rari [30].

La malattia rara può e deve essere un modello di comprensione di fenomeni ad alta prevalenza nella popolazione: la Società Italiana di Endocrinologia ha redatto, assieme alla Società Italiana di Diabetologia, delle linee guida sul management dell’iperglicemia nel paziente con eccesso di cortisolo [31].

Solo un aumento della conoscenza epidemiologica delle complicanze GC correlate potrà permettere in seguito di applicare strategie di prevenzione e/o di trattamento precoce, ad esempio ricalcando il modello dell’osteoporosi indotta da GC.