I nostri figli non sono   solo nostri

I vostri figli non sono figli vostri.

Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita   ha di sé stessa.

Essi non provengono da voi, ma attraverso   di voi.

E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.

Potete dar loro tutto il vostro amore,   ma non i vostri pensieri.

Perché essi hanno i propri pensieri.

Potete offrire dimora ai loro corpi,   ma non alle loro anime.

Perché le loro anime abitano la casa   del domani, che voi non potete visitare,   neppure nei vostri sogni.

Potete sforzarvi di essere simili a loro,   ma non cercare di renderli simili a voi.

Perché la vita non torna indietro   e non si ferma a ieri.

Voi siete gli archi dai quali i vostri figli,   come frecce viventi, sono scoccati.

L’Arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la Sua forza vi piega   affinché le Sue frecce vadano veloci e lontane.

Lasciatevi piegare con gioia   dalla mano dell’Arciere.

Poiché così come ama la freccia che scocca,   così Egli ama anche l’arco che sta saldo.

(da: “The Prophet” di Khalil Gibran).


L’incipit della poesia I vostri figli non sono figli vostri l’ho sempre preferito considerare nella variante “i vostri figli non sono solo figli vostri” per tenere insieme il tema dell’alterità che l’autore sviluppa soprattutto nella prima parte e per il tema della comunità partecipe.

L’alterità mi sembra un tema su cui ancora la consapevolezza e la pratica quotidiana siano in gran parte da costruire. Ancora adesso continuamente sento parlare di nostri ragazzi, come si trattasse di propaggini di chi pronuncia quelle parole. Non persone distinte, ma inglobate in un noi amorevole quanto asfissiante. Che toglie parola. Certo una parola che fatica a esprimersi, ma che vorrebbe poterlo fare, magari anche solo molto semplicemente. In questo senso le prese di posizione di persone con disabilità che rompono espressamente questo cordone ombelicale aiutano a vedere e forse a ripensare.

Le parole di Stella Young su quella che lei chiama pornografia motivazionale (inspiration porn)1 sono molto importanti. Ma oltre a tutto quanto lei sottolinea riguardo la pornografica comunicazione dell’eccellenza, dell’enfasi olimpica che ci è arrivata copiosa da una Tokyo che ne avrebbe fatto a meno, c’è il tema della possibilità di espressione in contrasto con l’assistenza. Possibilità di espressione che significa anche possibilità di sbagliare, affrontando le conseguenze. A una persona con disabilità soprattutto intellettiva sembra essere preclusa la possibilità di bere due caffè, di bersi due bicchieri di vino, di farsi una canna. Per il suo bene potrà invece gustare solo una tazza d’orzo, un’aranciata e assaporare il profumo dell’incenso. Che naturalmente sono scelte legittime, se sono scelte.

L’altro tema è quello della comunità. Del fatto che l’arrivo di una persona con disabilità possa essere un arricchimento per la comunità, invece che grazia o maledizione per la sola famiglia dove quella persona nasce. La famiglia, i genitori soprattutto e in modo esclusivo all’inizio, è investita di una grande responsabilità riguardo i figli con disabilità. E anche senza disabilità, certamente. Ma quando sento continuare a parlare di “dopo di noi”, e adesso l’espressione non meno urticante “durante noi”, che vorrebbe correggere ma resta concentrata su quel noi, noi genitori, immagino i figli, le persone con disabilità la cui vita e il cui futuro sono dentro quelle espressioni, ribellarsi e ribaltare il tavolo su cui tutte quelle carte imbrattate di buoni sentimenti sono sparse. I nostri figli non sono solo figli nostri. Ma anche delle relazioni con i compagni, con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro, con gli amici, con la persona amata, con le persone che non conosci, ma che incontri ogni giorno prendendo l’autobus, il treno, camminando per strada, con la commessa del supermercato, con il meccanico, con il barista e gli avventori del bar, con i bambini dell’oratorio, con i nonni, con le altre persone anziane, con le maestre e maestri e poi professoresse e professori, con tutti i dottori e operatori del contesto sociosanitario.

Con tutte le persone con cui entrano in relazione. O vorrebbero poter entrare in relazione.

Come dicono Enrico Montobbio e Carlo Lepri nel loro libro Chi sarei se potessi essere2, potrei essere una persona semplice, magari anche molto semplice, ma con una mia vita, miei desideri da sperimentare in mezzo agli altri o dove scelgo di farlo. Mie fatiche e delusioni. Mie passioni.

Nel testo di Gibran c’è il simbolo di “nascere” concepito da Laura Costanzi. Che è bellissimo.

In quelle mani ci sono la cura e la libertà che vorrei per me, come per ognuno, con disabilità e senza.


Antonio Bianchi

Centro Sovrazonale di Comunicazione

Aumentativa di Milano e Verdello (CSCA)

abianchi@sonic.it


1. Inspiration porn and the objectification of disability:   Stella Young at TEDxSydney 2014. https://www.youtube.com/watch?v=SxrS7-I_sMQ   (ultimo accesso del 16 settembre 2021).

2. Montobbio E, Lepri C (a cura di). Chi sarei se potessi essere. La condizione adulta del disabile mentale. Pisa: Edizioni del Cerro, 2000.


Nelle pagine seguenti:

I vostri figli non sono figli vostri  da “Il profeta” di Khalil Gibran

Versione in simboli a cura di Antonio Bianchi

Centro sovrazonale di comunicazione aumentativa secondo il modello definito dal Centro studi inbook csinbook.eu 2021

Integrazioni simboliche morfologiche e lessicali curate dal Centro studi inbook csinbook.eu, verso il sistema simbolico LAC, libero, aperto e consapevole della lingua italiana.

Simboli Widgit Literacy symbols (WLS)  Widgit Symbols © Widgit software 2002-2021  www.widgit.com – www.auxilia.it