Che cosa è uno statistical genocide?

Promemoria per una gestione infermieristica attiva del PNRR


Gianni Tognoni

Fondazione IRCSS Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com


Summary. What is a statistical genocide? Memo for an active nursing management of the new reform of the national health system. A recent editorial note in a journal which is certainly culturally and not only scientifically relevant as The Lancet, underlines how statistics, a discipline and methodology expected to be highly reliable and needed to produce critical evidences for programming and evaluating health issues and interventions, has become in various scenarios a misleading tool, by its capacity of using data to manipulate epidemiological information which coincides with the specific cancellation of situations of violation of human and health rights. As we live in a time and in contexts where data are becoming the protagonists of the decision-making processes from the digitalisation of all information, to the uncontrollable dependence from algorithms in deciding priorities and ‘personalised' care the alarm raised deserves attention: not exclusively to avoid misled behaviour, but more importantly to assure better and truly innovative practices. In the present challenging situation, which sees the nursing profession planned to acquire more substantial autonomy in the production of knowledge, the alarm could and should be interpreted as a ‘sentinel provocation' (and concrete model scenarios are proposed) to manage and utilise data which focus and made better targeted populations more exposed to conditions of fragility and marginalisation: the dominance of administrative data directed mainly to monitor economic sustainability, must be integrated and re-directed to a care where the human rights to health are the indicators and the measure of outcomes.


Key words: Statistics, Populations, Human rights, Health care outcomes.


Appunti di riferimento

Il primo appunto riguarda necessariamente la fonte del misterioso e solenne termine inglese del titolo. È una rubrica, atipica come il suo nome, Offline, ma autorevole per chi la cura, l'editore di Lancet, Richard Horton, ormai quasi una icona, per durata e ruoli di protagonista nel campo della letteratura medica. In un recente contributo,1 che si invita a leggere, parla di quanto è pesante, pervasiva, volutamente ignorata anche di fronte a dati incontrovertibili, la invisibilità di tanti popoli (di cui quello palestinese è esemplare tragico e permanente) e qualifica questo fenomeno con una espressione profondamente evocativa e originale: statistical genocide. Il genocidio – cioè la negazione stessa del diritto di esistere come collettività e identità umana – è una realtà della storia, della politica, dell'immaginario. Al di là della sua definizione giuridica, non ha bisogno di spiegazioni: appartiene all'ordine dei diritti umani, definisce ciò che è intollerabile, da evitare a tutti costi, o almeno da non lasciare impunito. Come può una disciplina-tecnica per antonomasia, collegata alla più precisa definizione di ciò che è affidabile, essere associata, suggerendone un ruolo causale-qualificante, a una realtà come il genocidio? Perché e come ci può-deve interessare?

Il secondo appunto è molto più facilmente riferibile alla cronaca, ma altrettanto obbligato. Il tempo delle vacanze ci ha trasportato in un'altra epoca. In Italia, per le elezioni che toccano inevitabilmente e pesantemente anche tutto il mondo della sanità (per un dopo Covid con tutte le carte sparigliate e incerte), dentro e fuori il PNRR. Ma non solo. In tutta Europa, per la crisi economica, esplicita e implicita, per la guerra che è, più che ucraino-russa, un conflitto geopolitico ed economico globale, la più grossa minaccia anche per politiche di uguaglianza e welfare. Quali sono, e chi li produce e controlla, i dati che permettano di essere ‘soggetti informati' in tempi certamente incerti?

Il terzo appunto è ancora più ristretto per la sua collocazione apparentemente ‘locale'. Mentre si scrive questa nota, la Regione Calabria assume 500 medici cubani. Curiosità di una amministrazione da sempre additata come inaffidabile? Indicatore del progressivo distacco-per-differenziazione tra le Regioni? Espressione ovvia di un deficit di personale che tutti da anni denunciano, senza che nessun provvedimento venga preso, se non con interventi tanto puntuali da non essere in grado di scalfire il sistema? Oppure ci troviamo di fronte a un evento sentinella, che sappiamo (… e qui siamo in una rubrica metodologica) che nella sua apparente casualità rimanda non alla banalità, ma a una possibile complessità da prendere molto sul serio? 

Gli appunti potrebbero continuare: più o meno drammatici, con scenari vicini o lontani, parlando dei migranti, sentinelle collettive e tragiche della realtà di inciviltà che li produce e li confina nel nulla dei diritti; o degli affamati in attesa delle navi di grano che devono avere il permesso-mediazione di uno dei più feroci dittatori come Erdogan, che stringe le mani al Segretario delle Nazioni Unite; o dei poveri, italiani o tedeschi, che ormai sono popolazioni a parte, affidati, senza tempo, all'egoismo di minoranze che non vogliono nemmeno intaccare i loro privilegi con tasse che non sfiorerebbero neppure il loro infinito superfluo. 

Ma è tempo di passare al collegamento tra il titolo e il sottotitolo di questo contributo.


Al di là degli ‘appunti’

Il riferimento da tener presente è quello dei tanti interventi che su questa rivista, e non solo, in questi anni di pandemia hanno sottolineato la imprescindibilità di dare al mondo infermieristico una rappresentatività quantitativa e qualitativa diversa, in tutti i campi, possibilmente, anzi obbligatoriamente, innovando sia i contenuti che le modalità organizzative; in modo non marginale, ma proporzionale a una più accurata definizione e presa in carico dei bisogni.2-4 

Il contesto più immediato in cui quelle aspettative dovrebbero realizzarsi è quello del PNRR, che contiene le indicazioni più tipiche della sezione sulla sanità: ruoli e case di comunità, continuità assistenziali, attenzione ai più fragili. E con una grande enfasi, nelle altre parti, sottolinea l'importanza dei dati e della loro gestione informatizzata per programmare, ottimizzare, mirare, personalizzare l'assistenza.

Gli appunti precedenti ci ricordano che i tempi che si avvicinano non sono né facili, né prevedibili. Anzi, assomigliano molto a quelli che possono precedere un'altra pandemia, o sindemia (se si vuole riprendere un altro fortunato termine del già citato Richard Horton),5 non virale o infettiva, ma di tipo socioeconomico e di civiltà. 

Gli ‘appunti' che seguono non pretendono di offrire soluzioni. Sono un promemoria che potrebbe essere metodologicamente, culturalmente, politicamente necessario perché le aspettative sopra ricordate per il mondo infermieristico siano almeno un poco esaudite.


Il primo appunto riprende ed esplicita il minimo comune denominatore, molto semplice, degli appunti posti in premessa: se alle popolazioni represse, o migranti, o…, non si dà una visibilità significativa, percepibile, che imponga alle notizie il peso di una urgenza, fatta non solo dei numeri delle persone, ma del loro vivere, del loro morire, dei loro diritti, queste persone scompaiono. Il genocidio statistico è quello delle informazioni e delle politiche che non includono i palestinesi (o i kurdi, o i rohingyas, o altri) tra gli abitanti-cittadini, che qualificano gli assassinati dai bombardamenti o dalle torture più varie come effetti collaterali di misure di sicurezza contro i terrorismi, che riescono a negare (salvo scusarsi solo poi, formalmente, dell'errore) di avere inviato droni su bambini che giocavano nell'unico spazio ‘tranquillo' di Gaza, il cimitero. Lo stesso discorso vale per i migranti, gli affamati, i morti sul lavoro. La statistica che ‘descrive' può fare apparire o scomparire popoli, problemi, violazioni di diritti, bisogni, evasi o risolti, semplicemente contestualizzandoli o meno con altri dati: sanitari o economici o strategici. In un mondo sempre più caratterizzato da dati, informazioni, algoritmi, percentuali senza denominatori noti o pertinenti (quanti sono i denutriti fino a morirne? E per quali cause?), la vita reale degli individui e delle popolazioni è una presenza occasionale, così come i loro diversissimi contesti: i dati possono dare o togliere i diritti e pretendere che le decisioni che li violano o li proteggono siano non solo legittime, ma dovute, magari le sole sostenibili (per usare uno dei termini più di successo, e più fuorvianti). 

Anche la sanità ha le sue popolazioni che possono comparire e scomparire dall'universo dei diritti, perciò della vita e della loro dignità. Si avvale di statistiche che parlano solo di malattie, o di diagnosi, o di acronimi riassuntivi assistenziali (PDTA o simili), immaginando situazioni medie od omogenee, anche se si applicano a problemi, luoghi, obiettivi che si sa essere profondamente diversi. Il PNRR, già molto parco di numeri – salvo quando cita nella sezione sanitaria, a sproposito, il numero delle case di comunità che devono essere tutte uguali: con o senza i medici cubani, o loro equivalenti, importati o riciclati? –, addirittura non parla mai di persone. È un programma disabitato, e può perciò promettere impunemente ogni cosa, sperando che tutte le risorse dichiarate ci siano nei tempi e nei contesti dovuti; che il personale necessario cresca – come nelle promesse del Gatto e la Volpe a Pinocchio; che il mondo dell'economia si converta alla obbligatorietà dei diritti delle persone reali, invece che vantarsi di personalizzare le cure con tagli nella presenza e nelle competenze del personale, per immaginare robot-droni o loro equivalenti per gli anziani soli, o i disabili, o i ‘fragili' (altro termine che permette definizioni e risposte infinitamente flessibili, e perciò disponibili a un ruolo fuorviante per l'uno o per l'altro silenzioso, goccia a goccia, istituzione per istituzione, genocidio statistico).

Gli appunti non vogliono essere critici: come ricordato nel sottotitolo, vogliono essere promemoria di obiettivi-attività che vedano come protagonista e soggetto attivo il mondo infermieristico. Questa precisazione è fondamentale ed è perciò la prima proposta con cui confrontarsi, e che potrebbe riassumersi in questo modo: in un mondo sanitario in cui i dati epidemiologici, nel loro senso più ampio, sono molto abbondanti, da parte di tanti attori, enti, discipline (dall'ambito sanitario, a quello sociologico, economico, amministrativo-gestionale), il mondo infermieristico è sostanzialmente assente. Non perché non ci siano studi – più o meno affidabili, come quelli di tutte le discipline – fatti da infermieri sulle realtà in cui operano. Ma se si volesse sapere – non come uno studio più o meno occasionale, ma come una delle statistiche nazionali ufficiali, regolarmente aggiornate –, per esempio, quale è il profilo dei bisogni di assistenza infermieristica da tenere presenti nella varietà dei contesti assistenziali, per alcune delle popolazioni su cui più si gioca il ruolo infermieristico (ospedaliero o territoriale, a livello di RSA o di cure riabilitative, o di fine vita, o di salute mentale – l'elenco dei campi di interesse prioritario sarebbe lungo), i dati presenti vedono gli infermieri e le loro pratiche come oggetto di statistiche che riguardano le loro prestazioni, non come promotori autonomi di conoscenze da mettere a confronto con quelle prodotte da altri. Non si tratta di pensare che gli infermieri debbano produrre/raccogliere più dati, ma proporre una lettura che dia visibilità alle popolazioni assistite, o da assistere. Questa lettura offrirebbe elementi per pianificare in modo autonomo, elaborare, interpretare, utilizzare le informazioni sui bisogni più o meno evasi/evadibili a partire da ipotesi esplicite, che riguardano i diritti delle persone/pazienti, e mettere a confronto gli scenari prodotti con quanto proposto dagli altri attori. La visibilità delle vite parte dall'interno dei sistemi assistenziali e della loro variabilità. 

Quello che si propone è un tempo di ricerca, che metta in evidenza e narri, da parte infermieristica, con il linguaggio e le accentuazioni che saranno proprie dei contesti di cui ci si fa carico, quanta strada c'è da fare per passare dalla descrizione, più o meno rassegnata, di ciò che si fa/succede/è stabilito dall'alto e da fuori, alla identificazione-narrazione-ipotesi di soluzione da parte di chi è testimone-rappresentante del dentro dell'assistenza. È chiaro che non sono solo gli infermieri (quali che siano le loro mansioni) a essere dentro l'assistenza. È certo a ogni modo che, specie in alcuni campi, una visibilità delle persone e della loro cura da parte infermieristica è difficilmente percepibile. È altrettanto ovvio che questo obiettivo non coincide con una esigenza di separazione dagli altri produttori di dati-conoscenza: è anzi la conditio sine qua non per creare situazioni di dialogo con parità di ruoli. Continuare a vantarsi, come fa chi assume il PNRR e la sua logica come guide sicure, di essere promotori di comunità nella società, senza nemmeno considerare le premesse culturali e gestionali per creare (non immaginare che ci sia) una comunità di pari in un sistema sanitario tanto conflittuale e contraddittorio, significa promuovere quella scomparsa delle popolazioni e della loro vita, che fa delle statistiche che la certificano quel tranquillo silenzioso genocidio da cui si è partiti.

Fa parte di una prospettiva infermieristica, come rappresentante della cura e delle persone reali (al di là delle personalizzazioni più o meno tecnologiche o gestionali), garantire la visibilità, in termini di accountability, di una epidemiologia dei diritti negati e violati. Le statistiche ufficiali sono molto caute e resistenti a percorrere questa strada, perché si potrebbero toccare tasti sensibili. In tutti i genocidi (ormai questo termine dovrebbe aver perso il suo suono di rarità ed estraneità) il silenzio dei testimoni è la condizione perché tutto succeda e possa essere negato. Il tempo che ci sta davanti, come ricordato negli ‘appunti' iniziali, non sarà facile. Paradossalmente, però, in un'epoca in cui le cose possono essere chiamate per nome, il prendere la parola da parte di chi sta dalla parte delle ‘vittime', reali o minacciate, è l'unico modo di non lasciare ingoiare i fragili, di cui si è responsabili, nel nulla, o nella ipocrisia.

Un ultimo augurio in cui la metodologia coincide con l'etica, o meglio con i diritti fondamentali: sarebbe bello che il mondo infermieristico avesse la lucidità di adottare un campione di popolazioni che rappresentino al meglio il profilo infermieristico del futuro per sperimentare ‘con' (non ‘su di') loro una produzione di conoscenza (in ‘alleanza', non ‘dipendenza da', con altri attori come Agenas, o altri) che inauguri una epidemiologia-statistica da dentro i problemi e come carta di identità delle comunità con cui si vuole camminare, a lungo, senza che nessuna/o resti indietro. Non spetta, ovviamente, a questo contributo indicare il come. Come in tutti i progetti di ricerca, il passo fondamentale è discutere l'ipotesi di lavoro per condividerla, più o meno trasformata: le strategie e i protocolli operativi seguono, scegliendo tempi e alleati.



BIBLIOGRAFIA


1. Horton R. Offline: WHO's erasure of Palestinians must cease. Lancet 2022;399(10341):2089.

2. Longhini J, Canzan F, Zambiasi P, Toccoli S, Gios L, Del Greco M, et al. Il modello TeMP_Cardio per la gestione del paziente con scompenso cardiaco sul territorio: uno studio di fattibilità con l'introduzione dell'infermiere di famiglia e comunità. Assist Inferm Ric 2022;41:74-86.

3. Zeneli A, Prati S, Golinucci M, Bragagni M, Montalti S. L'inserimento degli infermieri specialisti nel contesto ambulatoriale di un centro di ricerca oncologico in Italia: un'esperienza di introduzione del ruolo. Assist Inferm Ric 2021;40:194-204.

4. Cavada L, Siller M, Quircio S, Groeber G, Fink I, Preusse-Bleuler B, et al. L'esperienza dell'introduzione dell'infermiere di famiglia in un comune della Provincia di Bolzano. Assist Inferm Ric 2021;40:158-62.

5. Horton R. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet 2020;396(10255):874.