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Costruire nel costruito


 
Editoriale: Costruire nel costruito
Questo numero 21 di FAmagazine affianca e istruisce, nelle sue linee teoriche, una giornata di studi che il Festival dell'Architettura 7 dal titolo „Economy of the urban form“ ha organizzato per il giorno giovedì 22 novembre 2012 a Modena. Sul palco del Teatro Fondazione San Carlo si sono succedute nel corso dell'intera giornata due sedute sul tema del "costruire nel costruito": al mattino docenti, architetti e sociologi delle Università di Parma e Bologna hanno discusso sulla rigenerazione urbana, in generale e del caso particolare del Villaggio Artigiano a Modena; nel pomeriggio abbiamo ascoltato Johannes Modersohn della Technische Universität di Kaiserlautern e cotitolare dello studio Modersohn & Freiesleben di Berlino, Petra Kahlfeldt della Beuth Hochschule Berlin e membro del comitato organizzatore del concorso Dom Römer-Project nella città vecchia di Francoforte sul Meno e Wulf Daseking, fautore del caso Freiburg - Green City nei suoi molti anni a capo del servizio urbanistico della città, tutti nell’ambito del seminario dal titolo "Bauen im Bestand: Italy/Germany" (http://www.festivalarchitettura.it/fa5_2012).
La presenza di Daseking riconduce per un momento il tema del "costruire nel costruito" all'interno della questione più generale del disegno urbano e ci ricorda come qualsiasi intervento sulla città, sia essa la città storica consolidata o le città di oggi che si estendono e allargano ben oltre i limiti delle periferie storiche, non possa che fare riferimento all’insieme dell’organismo urbano, alla sua interezza di opera. Come dice Lederer nel suo articolo:"Prima la città, poi la casa".
"Costruire nel costruito", che i tedeschi dicono "Bauen im Bestand" oltre ad essere il tema di un dibattito vivo e partecipato (BKULT.DE Was meinen Sie? Debatten zur Baukultur, http://bkult.de/de_DE/888.ist_es_harmlos_historisierend_zu_bauen), in alcune università della Germania corrisponde al nome di un vero e proprio insegnamento: „Bauen im Bestand è una disciplina diventata familiare nella formazione di molti architetti tedeschi a partire dagli anni ’80 come reazione al cambio di paradigma sollecitato nel 1975 dall’Anno europeo per la difesa del Patrimonio architettonico, che ha significato uno scostamento dalla prassi di occupazione di nuovo suolo e dell’edificazione di ampi insediamenti negli spazi verdi.
Bauen im Bestand vale come slogan per un nuovo corso di studi all’università di Wismar, che offre un master semestrale professionalizzante a partire dal semestre invernale 2010/2011.
A differenza delle precedenti offerte formative su „l‘esistente“ o „il costruito“ non si tratta di mettere in primo piano il rapporto con il patrimonio storico monumentale, che nella professione dell’architetto avrà un ruolo sempre più marginale – secondo l’università di Wismar, quanto molto di più il risanamento, il cambio di destinazione d’uso e l‘ampliamento del già costruito, che in futuro giocheranno un ruolo sempre più importante.“(1)
Il concorso chiamato Dom Römer – Project ha costituito un intreccio e per certi versi un passaggio di consegne tra questo più recente concetto di Bauen im Bestand e il suo precedente: il dibattito sulla ricostruzione dei centri storici, quando era necessario individuare le procedure più adatte a „riempire“ i vuoti all’interno del tessuto urbano, provocati dai bombardamenti e dagli incendi della seconda guerra mondiale. Tra il 2004 e il 2012, quando è stata posta la prima pietra, l’area della Innenstadt di Francoforte sul Meno compresa tra il Duomo e la Kunstverein, tra la Braubachstrsse e il Parco archeologico, è stata oggetto del caso più eclatante di Bauen im Bestand. La demolizione del grande complesso degli Uffici tecnici del Comune, in cemento lavato a vista, costruito nei primi anni settanta nel vuoto lasciato dai bombardamenti della guerra e che necessitava di un pesante risanamento strutturale, è stata l’occasione per reinventare il centro di Francoforte e ripensare il rapporto tra „vecchio“ e „nuovo“, „costruire“ e „costruito“ su un’area di 7.000 metri quadrati. Dopo un lungo e partecipato iter politico e amministrativo, l’edificio è stato demolito nel 2010 e nello stesso anno più di 170 architetti si sono confrontati con la ricostruzione dei lotti gotici, che un Masterplan aveva ridisegnato sul loro sedime originale. Del concorso sono risultati vincitori 54 progetti tra cui quello dei giovani Johannes Götz e Guido Lohmann, pubblicato sul bel volume edito da Aion e curato da Massimo Fagioli, „Nuove tendenze in architettura“.
Così, un tema nato sulla base di una necessità impellente è sedimentato nel tempo e si è arricchito di un apparato teorico ed epistemico ben definito e convenzionato, di cui in parte si rende conto in questo numero 21 di Famagazine. Aldilà dei nitidi esempi rappresentati dai bei progetti di Modersohn & Freiesleben a Berlino e dall'edificio di Arno Lederer sulla piazza del mercato di Karlsruhe, mi pare interessante riassumere alcune costanti che compaiono con diverse sfumature negli scritti dei nostri ospiti tedeschi e che ci appaiono quantomai indicative dell'alto e per certi versi invidiabile livello di convenzionamento e di accordo raggiunto nella cultura architettonica di quel paese o per lo meno di un nutrito gruppo di architetti ed amici.
Si possono riassumere tre posizioni: la ricostruzione filologica; la „tabula rasa“ o, che rappresenta l‘altro corno dello stesso atteggiamento, la discontinuità per contrasto tra nuovo ed esistente; ed una terza posizione, più difficile da riassumere, che Andreas Hild chiama evocativamente „weiterschreiben“ (continuare a scrivere), che Antje Freiesleben mutua in „weitererzählen“ (continuare a raccontare) e di cui Lederer dice: „Aggiungiamo l’edificio mancante di modo che la persona comune non percepisca l’intervento. Ad un secondo sguardo ravvicinato, l’aggiunta potrebbe essere rilevata. Probabilmente un esperto si interesserebbe al nostro lavoro, perché il suo occhio lo saprebbe apprezzare.”
Certo, i progetti di Hild possono lasciare intuire un’accezione meno mimetica di Lederer, ma in entrambi i casi, come è e deve essere sempre in architettura, l’appropriatezza dell’intervento si fonda sulla raffinatezza della lettura del testo e dell’interpretazione linguistica.
 
1. „Bauen im Bestand“ ist eine Disziplin, die etwa seit den achtziger Jahren in der Architektenausbildung heimisch wurde – als Reaktion auf den Paradigmenwechsel, der mit dem Europäischen Denkmalschutzjahr 1975 einsetzte und die Abkehr von Flächenabriss und Großsiedlungsbau auf der Grünen Wiese bedeutete. „Bauen mit Bestand“ – in dieser leichten Abwandlung taugt der Slogan nun für einen neuen Aufbaustudiengang, den die Hochschule Wismar ab Wintersemester 2010/11 als sechssemestriges, berufsbegleitendes Fernstudium anbietet.
Im Unterschied zu bisherigen Studienangeboten „im Bestand“ soll hier nicht in erster Linie der Umgang mit historisch wertvoller Substanz gelehrt werden, denn dies sei „eine Aufgabe, die in der Berufswelt der Architekten einen verschwindend geringen Umfang hat“, so die Hochschule Wismar. Vielmehr geht es um „Sanierung, Umbau und Erweiterung von Bauten“, was in Zukunft eine immer wichtigere Rolle im Beruf spielen werde. (Bauen mit Bestand. Neuer Fernstudiengang der Hochschule Wismar, in « Baunetz», giugno 2010.
 
Lamberto Amistadi
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